google-site-verification=fW9ic3r_naxgruDksv5S6Ug4tN6LSm6wUy51njmsY0M La BUONA FEDE secondo la Corte di Cassazione
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La BUONA FEDE secondo la Corte di Cassazione





La Corte di legittimità con l'ordinanza n. 16823 del 2018, fornisce gli strumenti utili per rispondere ai predetti interrogativi e ciò rappresenta un'occasione per ribadire la propria posizione su temi attuali e molto dibattuti.

La buona fede di cui ci si occupa è da intendersi in senso oggettivo, quale sinonimo di lealtà e di correttezza.

Tale parametro viene richiamato in ambito contrattuale in differenti disposizioni come, ad esempio: art. 1337 c.c. nella fase di formazione del contratto; art. 1175 c.c. per l'esecuzione delle obbligazioni; art. 1375 c.c. per l'esecuzione dei contratti; art. 1460 co 2 per poter opporre l'eccezione di inadempimento.

La buona fede è un principio generale del nostro ordinamento, una vera e propria clausola generale che discende dal più ampio dovere di solidarietà sociale di cui all'art. 2 Cost.

Come riportato in molti manuali, la buona fede da essere semplice fonte di valutazione delle condotte ad opera del giudice, è divenuta una vera e propria fonte di integrazione delle stesse gravante in capo ai contraenti.

In altri termini, la buona fede costituisce un parametro di riferimento anche per gli stessi soggetti che stipulino, modifichino o estinguano un rapporto giuridico.

L'obbligo di comportarsi secondo buona fede non può significare un obbligo di attivarsi per sopperire alle manchevolezze o alle negligenze della parte inadempiente ma, diversamente, può corrispondere ad un obbligo di non pregiudicare l'utilità della prestazione altrui.

Volendo esemplificare, il contraente deve astenersi dall'eseguire prestazioni contrattuali che, seppur previste, possano pregiudicare l'utilità della controparte.

La poliedricità della clausola generale di buona fede si manifesta anche relativamente alle conseguenze che una sua violazione potrebbe comportare.

Una condotta contraria a buona fede può implicare il risarcimento dei danni cagionati ma può, altresì, influire sulla validità degli atti compiuti come ad esempio il recesso o la risoluzione di un contratto.

La diligenza e la correttezza non attengono solamente gli obblighi contrattuali ma afferiscono anche il bilanciamento dei contrapposti interessi vantati dalle parti.

E' proprio considerando siffatti interessi che viene in rilievo il principio di abuso del diritto il quale, secondo alcuni autori è un corollario della buona fede mentre, secondo altri, costituisce un principio autonomo e distinto.

L'abuso del diritto si rileva ogni qualvolta un soggetto eserciti un diritto del quale è titolare, attraverso modalità non necessarie o comunque non rispettose della controparte poiché cagiona un sacrificio ingiustificato e sproporzionato.

Riscontrati tali abusi e scorrettezze, laddove sia consentito, il giudice ha un potere di intervenire per modificare o integrare il contenuto contrattuale e ripristinare così l'equilibrio sinallagmatico.

Qualora sia previsto, il giudice può anche disporre l'inefficacia degli atti compiuti in violazione dei predetti doveri.

Quest'ultima evenienza non corrisponde ad un'indebita ingerenza nell'autonomia contrattuale ma attesta il sindacato di merito da esercitarsi sull'abuso posto in essere.

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