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Il diritto all’oblio nella Riforma Cartabia: l’iter rapido per ottenere la deindicizzazione

Il D.Lgs. n. 150 del 10 ottobre 2022 ha introdotto, al comma 1, lettera h), dell’art. 41, l’art. 64-ter rubricato “Diritto all’oblio degli imputati e delle persone sottoposte ad indagini”. Già il comma 25 dell’art. 1 della L. 27 settembre 2021, n. 134 prevedeva il diritto alla deindicizzazione in capo agli imputati assolti o agli indagati a seguito dell’emissione di un decreto di archiviazione e di una sentenza di non luogo a procedere o di assoluzione. Introduzione Il comma 1, lettera h), dell’art. 41, del D.Lgs. n. 150 del 10 ottobre 2022 introduce il nuovo art. 64-ter c.p.p.

Il comma 1, del predetto articolo prevede che “La persona nei cui confronti sono stati pronunciati una sentenza di proscioglimento o di non luogo a procedere ovvero un provvedimento di archiviazione può richiedere che sia preclusa l'indicizzazione o che sia disposta la deindicizzazione, sulla rete internet, dei dati personali riportati nella sentenza o nel provvedimento, ai sensi e nei limiti dell'articolo 17 del regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 27 aprile 2016. Resta fermo quanto previsto dall'articolo 52 del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196.” Il comma 2 sancisce che “Nel caso di richiesta volta a precludere l'indicizzazione, la cancelleria del giudice che ha emesso il provvedimento appone e sottoscrive la seguente annotazione, recante sempre l'indicazione degli estremi del presente articolo: «Ai sensi e nei limiti dell'articolo 17 del regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 27 aprile 2016, è preclusa l'indicizzazione del presente provvedimento rispetto a ricerche condotte sulla rete internet a partire dal nominativo dell'istante.»”. Infine, il comma 3 prevede che “Nel caso di richiesta volta ad ottenere la deindicizzazione, la cancelleria del giudice che ha emesso il provvedimento appone e sottoscrive la seguente annotazione, recante sempre l'indicazione degli estremi del presente articolo: «Il presente provvedimento costituisce titolo per ottenere, ai sensi e nei limiti dell'articolo 17 del regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 27 aprile 2016, un provvedimento di sottrazione dell'indicizzazione, da parte dei motori di ricerca generalisti, di contenuti relativi al procedimento penale, rispetto a ricerche condotte a partire dal nominativo dell'istante.»”. È bene premettere che con il termine “deindicizzazione” si intende un’operazione sostanzialmente differente dalla rimozione o cancellazione di un contenuto. La deindicizzazione, infatti, non elimina, bensì rende il contenuto non direttamente accessibile tramite i motori di ricerca esterni all’archivio in cui quel contenuto si trova. Secondo la Corte di Cassazione, nella sentenza n. 9147/2020, il “diritto all’oblio consiste nel non rimanere esposti senza limiti di spazio ad una rappresentazione non più attuale della propria persona con pregiudizio alla reputazione ed alla riservatezza, a causa della ripubblicazione, a distanza di un importante intervallo temporale, di una notizia relativa a fatti del passato […]”. Infatti, da sempre si discute se il diritto alla deindicizzazione possa configurarsi come un diritto autonomo o distinto rispetto al diritto all’oblio. Non vi è una definizione universalmente riconosciuta di diritto all’oblio, ma la dottrina più autorevole, prima ancora dell’avvento di Internet, ha definito il diritto all’oblio come “il diritto a che i fatti, pure pubblici, attinenti ad un soggetto, con il decorso del tempo cessino di avere tale qualità”. Il diritto all’oblio è strettamente collegato al diritto alla riservatezza e, in tale ottica, protegge l’individuo nella propria pretesa di non vedere più divulgate notizie che non siano di interesse pubblico, aggiornate o contestualizzate. Successivamente, il diritto all’oblio è stato ancorato al diritto alla privacy in ragione del fatto che il racconto di un accadimento relativo ad una persona di norma contiene dati personali relativi a quest’ultima. Il Regolamento europeo 2016/679, all’art. 17, ha previsto, da ultimo, in capo agli interessati, l’ottenimento, da parte del titolare del trattamento, della cancellazione dei dati personali che li riguardano, senza ingiustificato ritardo. Il considerando 65 specifica, inoltre, che “[…] l’interessato dovrebbe avere il diritto di chiedere che siano cancellati e non più sottoposti a trattamento i propri dati personali che non siano più necessari per le finalità per le quali sono stati raccolti o altrimenti trattati […].” Iter per la richiesta di deindicizzazione Prima dell’introduzione della Riforma Cartabia, al termine di un processo penale dove l’imputato si vedeva, ad esempio, assolto dalle accuse, non veniva emesso alcun provvedimento o sentenza che, da soli, costituissero un titolo per l’emissione di un provvedimento di deindicizzazione delle notizie collegate al nome e cognome dell’indagato o imputato, in quanto risultava necessario, successivamente, agire nella sede più opportuna. Le azioni contemplate dall’art. 64-ter c.p.p. sono due: da un lato, vi può essere una richiesta volta a precludere l’indicizzazione (ex art. 64-ter, comma 2, c.p.p.) e, dall’altro, una richiesta volta ad ottenere la deindicizzazione (ex art. 64-ter, comma 3, c.p.p.). In entrambi i casi è la cancelleria del giudice – e non il giudice stesso – ad apporre e a sottoscrivere le sopracitate annotazioni, volendo garantire celerità nell’apposizione dell’annotazione stessa. Conclusioni Risulteranno sicuramente necessari ulteriori approfondimenti al fine di poter precisare alcuni ambiti della disposizione e coordinarla con la disciplina comunitaria. Infatti, l’art. 64-ter c.p.p. altro non è che una norma processuale che si limita a stabilire un iter conseguente ad una sentenza di proscioglimento o di non luogo a procedere ovvero un provvedimento di archiviazione senza introdurre alcun nuovo principio in materia di trattamento dei dati personali. Interessante sarà analizzare gli sviluppi sulla reale applicazione della normativa soprattutto con riferimento al profilo dell’extraterritorialità dell’annotazione apposta dalla cancelleria del giudice. È bene ricordare che ogni singolo Stato membro dell’Unione Europea può stabilire principi nazionali di tutela dei diritti dell’interessato, purché non in contrasto con le disposizioni comunitarie. Il diritto dell’Unione non impone agli Stati membri che il diritto alla deindicizzazione sia accordato su tutte le versioni del motore di ricerca, ma, al tempo stesso, non vieta agli stessi Stati di consentire questo risultato. Infatti, a detta della Cassazione, nell’ordinanza della Corte di Cassazione n. 34658/2022, “[…] ciascuno Stato membro – e così anche l’Italia – è libero di effettuare nella sua disciplina nazionale, conformemente agli standard nazionali di protezione dei diritti fondamentali, un bilanciamento tra il diritto della persona interessata alla tutela della sua vita privata e alla protezione dei suoi dati personali e il diritto alla libertà di informazione, per richiedere all’esito al gestore di tale motore di ricerca di effettuare una deindicizzazione su tutte le versioni del proprio motore, anche quelle extraeuropee”. D.Lgs. 10 ottobre 2022, n. 150 – G.U. 17 ottobre 2022, n. 243, suppl. ord. n. 38/L


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