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La clausola che deroga il foro del consumatore è vessatoria

Una clausola contrattuale che disponga in senso contrario alla disciplina predisposta con il Codice del Consumo, in forza della quale la competenza territoriale inderogabile è del giudice del luogo di residenza o di domicilio del consumatore, è da considerarsi vessatoria, e non può trovare applicazione.


ORIENTAMENTI GIURISPRUDENZIALI

Conformi:

Cass. civ., sez. VI, ordinanza 28 settembre 2016, n. 19061

Difformi:

Non si rinvengono precedenti


Il caso

Il sig. X conveniva in giudizio un'azienda telefonica sostenendo che, in occasione del subentro nelle nuove utenze telefoniche, non sarebbe stato mantenuto attivo il servizio c.d. “carrier preselection”, e tale stato di cose avrebbe costretto l’attore a un esborso non giustificato di euro 2.667,32. L’attore chiedeva pertanto la condanna dell'azienda telefonica alla restituzione della somma indicata.

La società telefonica, di contro, eccepiva l’incompetenza per territorio del Giudice di Pace adito e la improponibilità e/o improcedibilità dell’azione. Nel merito, impugnava la pretesa creditoria di controparte in quanto ingiustificata in fatto e in diritto.

La decisione del Giudice di Pace di Taranto

Il Giudice di Pace di Taranto, in via preliminare, ha rigettato l’eccezione di incompetenza territoriale, attesa la prevalenza della competenza inderogabile prevista dall’art. 63 del Codice del Consumo in forza del quale va effettuato riferimento al giudice del luogo di residenza o di domicilio del consumatore.

In particolare, l’eccezione di incompetenza territoriale in favore del Giudice di Pace di Milano, ai sensi della clausola di cui all’art. 37 delle condizioni generali di contratto, la quale indica quest’ultimo quale foro di competenza per qualsiasi controversia nascente tra le parti, per il Giudice è da considerarsi vessatoria e dunque illegittima, “per cui non può trovare applicazione”.

Tra l’altro, ha specificato il Giudice di Pace, le condizioni generali per l’accesso al servizio telefonico, esibite dalla parte convenuta, non risultano nemmeno direttamente sottoscritte dalle parti, per cui sono in contrasto con le esigenze di tutela dei consumatori “dinanzi alla posizione di predominio dei gestori di pubblica utilità sottese al Codice del Consumo”.

Per quanto riguarda l’eccezione di improponibilità e/o improcedibilità dell’azione, atteso che secondo la convenuta l’istanza di conciliazione dinanzi al Co.Re.Com. non è stata presentata secondo il formulario appositamente richiesto dalla delibera n. 276/13/CONS, il Giudice ha osservato che se non risulta rispettata la disposizione dell’art. 3 comma 1 tale irregolarità andava evidenziata in sede di trattazione avvenuta presso il Co.Re.Com. di Bari.

Di conseguenza, ha statuito il Giudice, “in virtù dell’art. 115 c.p.c., che pur essendo norma processuale, non può non avere una portata di carattere generale, da rigettare è l’eccezione di improcedibilità”.

Infine, la parte convenuta ha eccepito che parte attrice non sarebbe stata in grado di dimostrare quale inadempimento avrebbe commesso la società telefonica, richiamando l’art. 6 comma 14 della delibera n. 3/CIR/99 della Agenzia per le Garanzie in forza del quale “nel caso in cui sia stata già attivata la prestazione di Carrier Preselection su una linea telefonica, l’eventuale richiesta di subentro formulata in conformità alle disposizioni del regolamento di servizio / carta dei servizi, comporta l’automatica disattivazione della prestazione di Carrier Preselection, salvo diversa espressa richiesta del subentrante”.

Il subentrante ha richiesto appunto il sub-ingresso nel contratto precedente, per cui, ha specificato il Giudice, è compito della società erogatrice del servizio riscontrare la richiesta del richiedente, precisando i termini di tale sub-ingresso e non dell’utente, in quanto lo stesso, fidandosi della serietà che dovrebbe distinguere un’azienda di erogazione di servizio pubblico, ha ritenuto di aver manifestato l’interesse a proseguire nel precedente contratto alle stesse condizioni.

Alla luce di quanto sopra, il Giudice di Pace ha accolto la domanda di parte attrice.

Cenni in tema di clausole vessatorie

Ai sensi dell'art. 33 del Codice del Consumo, nel contratto concluso tra il consumatore e il professionista, devono essere considerate vessatorie le clausole che "malgrado la buona fede, determinano a carico del consumatore un significativo squilibrio dei diritti e degli obblighi derivanti dal contratto".

Per ciò che concerne il foro della controversia, l’art. 33, comma 2, nel prevedere che si presumono vessatorie una serie di clausole fra cui, ai sensi della lettera u) quella che stabilisce come foro della controversia un luogo diverso da quello di residenza o domicilio elettivo del consumatore, stabilisce che la presunzione opera fino a prova contraria.

Le clausole vessatorie sono sanzionate con la nullità, che opera a vantaggio del consumatore, e può essere rilevata d'ufficio dal giudice.

La vessatorietà di una clausola viene stabilita tenendo conto della natura del bene o del servizio oggetto del contratto, sulla base delle circostanze esistenti al momento della sua conclusione, delle altre clausole contenute nello stesso ovvero in altro contratto ad esso collegato (art. 34).

La giurisprudenza ha in più occasioni affermato che le clausole vessatorie, in quanto producono uno squilibrio fra le parti, sono considerate inefficaci, se non approvate per iscritto (cfr. Cass. n. 11594/2010). E' stato inoltre precisato che "la specifica approvazione per iscritto delle clausole vessatorie deve essere separata ed autonoma rispetto a quella delle altre, perché solo in questo modo viene adeguatamente richiamata l'attenzione del contraente debole. Il richiamo in blocco di tutte le condizioni generali di contratto o di gran parte di esse, comprese quelle prive di carattere vessatorio, e la sottoscrizione indiscriminata delle stesse, sia pure apposta sotto la loro elencazione secondo il numero d'ordine, non determina la validità' ed efficacia, ai sensi dell'art. 1341, secondo comma, cod. civ., di quelle onerose" (Cass. Civ., sez VI, 13 novembre 2014, n. 24193).

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