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Reversibilità: al figlio nato dall’unione con persona diversa dal coniuge spetta il 20%


Con la sentenza n. 100 del 19 aprile 2022 la Corte costituzionale ha dichiarato l’inammissibilità, in riferimento agli artt. 3 e 30 Cost., delle questioni di legittimità costituzionale dell’art. 22, comma 2, della L. 21 luglio 1965, n. 903, nella parte in cui prevede, in favore del figlio minorenne nato da due persone non unite da vincolo coniugale, l’attribuzione della quota del 20% della pensione privilegiata indiretta, identica a quella del figlio che concorra insieme all’altro suo genitore superstite, anziché della maggior quota del 70% spettante al minore che abbia perduto entrambi i suoi genitori, poiché – pur essendo la condizione del figlio nato fuori dal matrimonio comparabile ai fini che qui interessano a quella del figlio orfano di entrambi i genitori – non può essere pronunciata una diretta e autonoma rideterminazione delle quote, ricadendosi altrimenti in un intervento manipolativo, tale da invadere l’ambito di discrezionalità riservato al legislatore. Il caso Con ordinanza del 22 giugno 2020, la Corte dei conti, sez. giurisd. Lazio, sollevava questione di legittimità costituzionale dell’art. 22, comma 2, della L. 21 luglio 1965, n. 903 (Avviamento alla riforma e miglioramento dei trattamenti di pensione della previdenza sociale) – recte: dell’art. 13, comma 2, lett. b), del R.D.L. 14 aprile 1939, n. 636, convertito, con modificazioni, in L. 6 luglio 1939, n. 1272, come sostituito dall’art. 2 della L. 4 aprile 1952, n. 218, nel testo riformulato dall’art. 22 della L. n. 903/1965 – per violazione degli artt. 3 e 30, commi 1 e 2, Cost., nella parte in cui prevede, in favore del figlio minorenne nato da due persone non unite da vincolo coniugale, l’attribuzione di una quota della pensione privilegiata indiretta identica a quella del figlio che concorra insieme all’altro suo genitore superstite, anziché della maggior quota del 70% spettante (ai sensi dell’art. 1, comma 41, della L. n. 335/1995) al minore che abbia perduto entrambi i suoi genitori. Il comma 2 dell’art. 13 del R.D.L. n. 636/1939 stabilisce le aliquote percentuali della pensione che, nel regime dell’assicurazione generale obbligatoria, spettano in favore dei superstiti in caso di morte del pensionato o dell’assicurato. Tali aliquote, calcolate rispetto alla pensione già liquidata o che sarebbe spettata all’assicurato, sono fissate nella misura del 60% in favore del coniuge (lett. a) e del 20% in favore di ciascun figlio se ha diritto a pensione anche il coniuge, oppure del 40% se hanno diritto a pensione soltanto i figli (lett. b). Nella fattispecie sottoposta al giudizio del rimettente, l’INPS aveva applicato dette aliquote ai fini della liquidazione della pensione indiretta spettante, rispettivamente, all’ex coniuge superstite (legalmente separato e avente diritto al mantenimento) e al figlio minore superstite di un maresciallo capo dell’Esercito italiano, deceduto in servizio nell’anno 2008. Il figlio minore, tuttavia, era nato fuori dal matrimonio, da una relazione intercorsa tra il de cuius e la ricorrente del giudizio a quo. Quest’ultima – non destinataria di alcuna quota di pensione indiretta, in quanto non legata da vincolo matrimoniale con l’assicurato – aveva domandato al giudice la rideterminazione in melius della quota spettante al minore, con correlativo abbattimento di quella riconosciuta all’ex coniuge superstite: ciò, sulla scorta della sostanziale ingiustizia che si sarebbe annidata nel riconoscimento della sola quota del 20% al minore, il quale non avrebbe potuto beneficiare, neppure indirettamente, della quota del 60% riconosciuta all’ex coniuge che non era sua madre. Il giudice rimettente sollecitava la Corte ad adottare una pronuncia di accoglimento additiva che riconoscesse al minore superstite, figlio del dante causa ma non del coniuge superstite di quest’ultimo, beneficiario della quota del 60%, la stessa quota che la legge riconosce al figlio orfano di entrambi i genitori (ossia, attualmente, la quota del 70%. Ciò, sulla scorta dello specifico precedente – caratterizzato, secondo il rimettente, da una comunanza di situazione sostanziale sottesa – costituito dalla sentenza Corte cost. n. 86/2009, con la quale era stata dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art. 85, comma 1, n. 2, D.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124, nella parte in cui, nel disporre che, nel caso di infortunio mortale dell’assicurato, agli orfani di entrambi i genitori spettasse il 40% della rendita, escludeva che essa competesse nella stessa misura anche all’orfano di un solo genitore naturale. Il rimettente, inoltre, assumeva che l’auspicato accoglimento della questione avrebbe aperto un ulteriore profilo di doglianza riguardante, questa volta, lo specifico tema del riparto delle quote della pensione indiretta tra l’ex coniuge, non genitore del figlio superstite, e il minore stesso. Qualora fosse stata riconosciuta, a favore di quest’ultimo, la quota attualmente stabilita dalla legge per il figlio orfano di entrambi i genitori – ossia, per l’appunto, quella del 70% – il contemporaneo riconoscimento della quota del 60% al coniuge superstite, quale derivante dalla lett. b) del comma 2 dell’art. 13 del R.D.L. n. 636/1939 (nella formulazione, da ultimo, introdotta dall’art. 22 della L. n. 903/1965), avrebbe determinato il superamento della quota del 100%. Siffatto esito, tuttavia, non sarebbe stato consentito dalla previsione di cui al comma 4 dello stesso art. 13 del R.D.L. n. 636/1939, a norma del quale la pensione ai superstiti non può, in ogni caso, essere complessivamente superiore all’intero ammontare della pensione. In via consequenziale era, pertanto, censurato il combinato disposto dei commi 2 e 4 dell’art. 22 della L. n. 903/1965, nella parte in cui non prevedono che le quote di pensione del 70% e del 60%, rispettivamente spettanti al predetto figlio minorenne e al coniuge superstite (che non sia genitore di quel minore) vadano ricondotte entro il complessivo limite del 100%, riducendo proporzionalmente ambedue tali quote. Nel dettaglio, a giudizio del rimettente, l’opzione più equa e ragionevole sarebbe stata quella secondo la quale quella quota del 70% e l’ulteriore quota del 60% spettante al coniuge superstite debbano soffrire una decurtazione proporzionale, fino a ricondurne la somma alla misura del 100%: il che sarebbe equivalso al 53,85% circa per il figlio minore e ad uno speculare 46,15% circa per il coniuge superstite, appunto con arrotondamento al secondo decimale. La decisione della Corte costituzionale Con la segnalata sentenza la Consulta ha dichiarato l’inammissibilità delle questioni sollevate, poiché l’intervento manipolativo auspicato impinge nella discrezionalità riservata al legislatore circa l’individuazione dei mezzi più idonei al conseguimento di un fine costituzionalmente auspicabile. All’uopo, è stata comunque segnalata la necessità di un tempestivo intervento del legislatore, atto a colmare la lacuna che compromette i valori costituzionali sottesi all’istituto della reversibilità, impedendo la piena soddisfazione del diritto a veder salvaguardata la forza cogente del vincolo di solidarietà familiare. La Corte ha premesso che nella disciplina delle quote della pensione indiretta o di reversibilità, di cui all’art. 13 del R.D.L. n. 636/1939, è invero apprezzabile, negli stessi termini di cui alla sentenza n. 86/2009, una discriminazione tra figli nati fuori dal matrimonio e figli nati nel matrimonio. Per un verso, se il figlio superstite è nato nel matrimonio, questi, oltre alla propria quota del 20% (quale stabilita dall’art. 13, comma 2, lett. b, del R.D.L. n. 636/1939), può sempre contare, indirettamente, anche su un plus di assistenza derivante dalla quota del 60% che per legge (art. 13, comma 2, lett. a) spetta al coniuge superstite suo genitore. Per altro verso, se il figlio superstite è invece nato fuori dal matrimonio, egli può contare solo sulla quota del 20% a lui direttamente attribuita. Nondimeno, nei casi come quello in esame, vi è bensì un altro avente diritto alla quota di reversibilità – l’ex coniuge superstite –, ma costui non è genitore di quel figlio: la mancanza del rapporto di filiazione fa, quindi, presumere che quest’ultimo non potrà beneficiare, neppure indirettamente, di tale quota. Ad avviso del Giudice delle leggi, la condizione del figlio nato fuori dal matrimonio, dunque, ai fini che qui interessano, è comparabile a quella del figlio orfano di entrambi i genitori. Come nel caso deciso nel 2009, dunque, anche nella presente fattispecie c’è una diseguaglianza sostanziale che è necessario riequilibrare. Tanto precisato, la Corte ha tuttavia evidenziato che – nonostante l’inadeguatezza del sistema attualmente vigente – non può essere pronunciata una diretta e autonoma rideterminazione delle quote, poiché altrimenti si ricadrebbe in un intervento manipolativo, tale da invadere l’ambito di discrezionalità riservato al legislatore. In proposito, la Corte ha rilevato che nella fattispecie non è anzitutto ravvisabile una conclusione costituzionalmente obbligata, palesandosi, piuttosto, una pluralità di criteri risolutivi che, in astratto, si possono tutti prospettare come praticabili. La scelta tra di essi, ovvero – in ipotesi – la scelta di un criterio ancora diverso, non può che spettare al legislatore, il quale, del resto, non ha mancato di cimentarsi, in passato, con le più varie soluzioni, afferenti al medesimo istituto della reversibilità ovvero ad istituti analoghi o finanche diversi: e si tratta di soluzioni che sono state messe in campo anche per far fronte ad istanze sovrapponibili, in misura più o meno ampia, a quella che ha mosso l’odierna questione di legittimità costituzionale. Tali soluzioni, proprio per la loro varietà, non possono essere assunte come grandezza predata o misura di riferimento, neppure ai fini di una sentenza additiva volta a introdurre una soluzione costituzionalmente adeguata, ispirata – ai fini di assicurare una tutela effettiva a diritti fondamentali – alla ratio sottesa ai suddetti interventi. Esito del giudizio di costituzionalità: dichiara inammissibili le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 13, secondo comma, lettera b), del R.D.L. 14 aprile 1939, n. 636 (Modificazioni delle disposizioni sulle assicurazioni obbligatorie per l’invalidità e la vecchiaia, per la tubercolosi e per la disoccupazione involontaria, e sostituzione dell’assicurazione per la maternità con l’assicurazione obbligatoria per la nuzialità e la natalità), convertito, con modificazioni, in legge 6 luglio 1939, n. 1272, come sostituito dall’art. 2 della L. 4 aprile 1952, n. 218 (Riordinamento delle pensioni dell’assicurazione obbligatoria per la invalidità, la vecchiaia ed i superstiti), nel testo riformulato dall’art. 22 della L. 21 luglio 1965, n. 903 (Avviamento alla riforma e miglioramento dei trattamenti di pensione della previdenza sociale), sollevate, in riferimento agli artt. 3 e 30, commi primo e terzo, della Costituzione, dalla Corte dei conti, sezione giurisdizionale per il Lazio, con l’ordinanza indicata in epigrafe. Riferimenti giurisprudenziali: Corte cost. sent. 27 marzo 2009, n. 86 Riferimenti normativi: Art. 22, co. 2, L. n. 903/1965

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