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Truffa online: la distanza tra venditore e acquirente integra la minorata difesa

In tema di truffa, secondo la sentenza della Cassazione penale n. 17937 del 10 aprile 2017, è ravvisabile l’aggravante di cui all’art. 640, co. 2-bis, c.p. nella condotta di colui che, avvalendosi di un sistema informatico o telematico, proponga e realizzi la vendita di prodotti, con acquisizione, mediante pagamenti online, dei relativi corrispettivi, senza poi provvedere alla loro consegna agli acquirenti, la cui condizione di minorata difesa deriva dalla distanza tra il luogo dal quale opera l’agente e quello nel quale si trova ogni singolo acquirente, con conseguente maggiore facilità, per il primo, di sottrarsi alle conseguenze dell’azione.


Il caso

La sentenza che si annota tratta la questione inerente la portata applicativa dell’aggravante della c.d. minorata difesa, prevista dal n. 5 dell’art. 61 c.p., che importa un aggravamento fino a un terzo della pena base prevista per ciascun reato nel caso in cui il reo, nel commettere il fatto, abbia “profittato di circostanze di tempo, di luogo o di persona, anche in riferimento all’età, tali da ostacolare la pubblica o privata difesa”. La circostanza aggravante, peraltro, in virtù del disposto dell’art. 640, co. 2, n. 2-bis, c.p., comporta un innalzamento più consistente della pena ove il reato commesso sia la truffa.

Nel ricorso sul quale la Sez. VI è chiamata a pronunciarsi il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Sassari impugna l’ordinanza resa dal Tribunale del riesame della stessa città (in data 14-11-2016) che “confermava” – respingendo l’appello ex art. 310 c.p.p. – la decisione con la quale il G.I.P. aveva respinto la domanda cautelare formulata nei confronti di A.C. in relazione al delitto di truffa aggravata ex art. 640, co. 2-bis, c.p., per avere messo in vendita su un noto portale telematico alcuni prodotti elettronici a prezzi convenienti, non consegnati agli acquirenti o totalmente difformi da quelli proposti, pagati a mezzo bonifico bancario. Il ricorrente censura, lamentando violazione di legge, l’ordinanza sottoposta a gravame laddove essa condivide la valutazione del G.I.P. circa la non sussistenza dell’aggravante della minorata difesa (con conseguente impossibilità, in ragione del limite edittale, di adottare la misura cautelare).

Premessa: la sussistenza del delitto di truffa rispetto alla contrattazione tramite internet intesa alla vendita di determinati beni non seguita dalla consegna

Giova opportuno premettere, per un opportuno inquadramento della quaestio iuris specificamente esaminata dai giudici della Sez. VI, come il comportamento contestato all’indagato nel caso di specie sia riconducibile al reato di truffa e, in particolare, alla c.d. truffa contrattuale, che si realizza allorquando l’agente pone in essere artifici e raggiri al momento della conclusione del negozio giuridico, traendo in inganno il soggetto passivo che viene indotto al consenso che altrimenti non avrebbe prestato.

Oltre che in numerose decisioni di legittimità (cfr., ex multis: Cass. pen., Sez. VI, 10 marzo 2015, n. 10136; Cass. pen., Sez. II, 13 novembre 2014, n. 46849) e di merito (v., tra le molte: Trib. Roma, Sez. VIII, 4 febbraio 2016, n. 1066; Trib. Napoli, Sez. XI, 15 gennaio 2016, n. 16469), la sussistenza del delitto di truffa (contrattuale) in relazione alla vendita tramite un sito internet non seguita dalla consegna del bene a fronte del pagamento dello stesso è stata affermata, in riferimento ad una fattispecie concreta totalmente sovrapponibile a quella di cui alla sentenza in commento, dalla Sez. II della Corte di Cassazione, con sentenza 14 ottobre 2016, n. 43660.

Nella truffa online la distanza tra il luogo in cui opera l’agente e quello ove si trova l’acquirente integra l’aggravante della minorata difesa

Il ragionamento sulla base del quale il Supremo Collegio ritiene integrata, rispetto alla truffa online, la circostanza aggravante della minorata difesa (così annullando con rinvio l’impugnata ordinanza) parte dalla definizione della “circostanza di luogo”, di cui al n. 5 dell’art. 61 c.p., il cui approfittamento rileva, nel caso in esame, ai fini della configurabilità della circostanza de qua.

I giudici della Sez. VI, infatti, pervengono a tale esito interpretativo mantenendo ferma l’individuazione oggettiva di un dato fisico e caratteristico del luogo del commesso reato.

Il luogo della condotta illecita non deve infatti essere identificato, ai fini di interesse, nell’ambiente informatico e telematico utilizzato per commettere il reato. È significativo notare, sul punto, come la più autorevole giurisprudenza di legittimità, chiamata a decidere quale fosse il luogo di consumazione del delitto di cui all’ art. 615-ter c.p., abbia osservato che il circuito internet, per le sue particolari caratteristiche, sia, per così dire, un “non luogo”: come affermano infatti le Sezioni Unite “è stato notato che nel cyberspace i criteri tradizionali per collocare le condotte umane nel tempo e nello spazio entrano in crisi, in quanto viene in considerazione una dimensione smaterializzata (dei dati e delle informazioni raccolti e scambiati in un contesto virtuale senza contatto diretto o intervento fisico su di essi) ed una complessiva delocalizzazione delle risorse e dei contenuti (situabili in una sorta di meta-territorio)” (così Cass. pen., Sez. Un., 24 aprile 2015, n. 17325).

Nella decisione appena richiamata si individua il locus commissi delicti del reato di accesso abusivo ad un sistema informatico o telematico in quello in cui l’agente aveva effettuato l’intrusione indebita nel circuito internet. Analogamente, nella truffa ordita attraverso la vendita di prodotti online, è individuabile un luogo “fisico” del commesso reato in quello ove si trovava l’agente al momento in cui egli aveva conseguito l’ingiusto profitto (e non in quello – pare opportuno precisare – in cui viene data la disposizione di pagamento da parte della persona offesa) [oltre a Cass. pen., Sez. II, 20 febbraio 2015, n. 7749, citata nella decisione in commento, v., in senso analogo, Cass. pen., Sez. II, 14 novembre 2016, n. 48027].

Orbene, tale luogo “fisico” di consumazione della truffa possiede la caratteristica peculiare costituita dalla distanza che esso ha rispetto al luogo ove si trova l’acquirente che del prodotto venduto, secondo la prassi tipica di simili transazioni, ha pagato anticipatamente il prezzo.

Ed è proprio tale distanza tra il luogo di commissione del reato da parte dell’agente e il luogo dove si trova l’acquirente l’elemento che consente all’autore della truffa di porsi in una situazione di maggior favore rispetto alla vittima, di schermare la sua identità, di fuggire comodamente, di non sottoporre il prodotto venduto ad alcun efficace controllo preventivo da parte dell’acquirente e di sottrarsi, comunque, alle conseguenze dell’azione; vantaggi che, come evidenziano i giudici di legittimità, l’agente “non potrebbe sfruttare a suo favore, con altrettanta facilità, se la vendita avvenisse de visu” .

È quindi la distanza tra i suddetti luoghi ad integrare l’aggravante della minorata difesa; per usare le parole dei giudici della Sez. VI “la distanza, connessa alle particolari modalità di vendita con utilizzo del sistema informatico o telematico, di cui l’agente consapevolmente approfitta e cui si aggiunge di norma l’utilizzo di clausole contrattuali, che prevedono il pagamento anticipato del prezzo del bene venduto, configura l’aggravante in oggetto, che connota la condotta dell’agente quale elemento ulteriore, peculiare e meramente eventuale, rispetto agli artifici e raggiri tipici della truffa semplice”.

Si rileva come l’aggravante della minorata difesa in relazione al reato di truffa realizzato attraverso vendite online sia già stata riconosciuta in alcune occasioni dalla Suprema Corte: oltre a Cass. pen., Sez. II, 14 ottobre 2016, n. 43706, citata nella decisione in commento, si veda in senso conforme Cass. pen., Sez. II, 14 ottobre 2016, n. 43705, laddove pure la Suprema Corte ha annullato con rinvio l’ordinanza del Tribunale del riesame che aveva ritenuto non sussistente l’aggravante de qua.

Nella giurisprudenza di merito, nel senso della configurabilità della circostanza aggravante di cui all’art. 61, n. 5, c.p. con riferimento al delitto di truffa perpetrata mediante l’utilizzo di reti internet, si segnala Trib. Campobasso, 12 luglio 2016, n. 580, laddove il giudicante afferma che “proprio l'utilizzo della rete internet è idonea ad ostacolare la difesa della persona offesa dal momento che […] non poteva avere contezza del proprio interlocutore”.

Ai fini della sussistenza del delitto di truffa non ha rilievo la mancanza di diligenza da parte della persona offesa

Nel confutare la tesi del giudice a quo in ragione della quale la consapevole esposizione dell’acquirente ai rischi connessi alle transazioni avvenute per il tramite di siti internet di scambi commerciali impedisce, di per sé, la configurabilità di una situazione di minorata difesa dell’acquirente stesso, la Sez. VI richiama il consolidato orientamento giurisprudenziale secondo cui ai fini della sussistenza del delitto di truffa non ha rilievo la mancanza di diligenza da parte della persona offesa; detta circostanza infatti non esclude l’idoneità del mezzo in quanto si risolve in una mera deficienza di attenzione che, il più delle volte, è determinata dalla fiducia che, con artifici e raggiri, sa suscitare il truffatore nella parte lesa (cfr., ex pluribus, con specifico riferimento alla truffa c.d. contrattuale, genus a cui può ricondursi la species della truffa online: Cass. pen., Sez. II, 9 giugno 2015, n. 24499; Cass. pen., Sez. II, 14 ottobre 2014, n. 42941; Cass. pen., Sez. II, 26 luglio 2012, n. 30686).

La decisione in breve

Esito del ricorso:

annullamento con rinvio

Riferimenti normativi:

Art. 640, co. 2, n. 2-bis, c.p.

Art. 61, n. 5, c.p.

Cassazione penale, sezione VI, sentenza 10 aprile 2017, n. 17937

Lo Studio legale Giovannoni & Bettella fornisce assistenza e consulenza sugli argomenti sopra trattati.

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