google-site-verification=fW9ic3r_naxgruDksv5S6Ug4tN6LSm6wUy51njmsY0M Il proprietario di un edificio può aprire delle finestre sul cortile altrui?
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Il proprietario di un edificio può aprire delle finestre sul cortile altrui?


Il proprietario di un edificio non può aprire una veduta verso un cortile altrui, a vantaggio dell’immobile di sua esclusiva proprietà, finendo, altrimenti, per imporre di fatto una servitù a carico dell’edificio frontistante, a meno che non sia configurabile un diritto di veduta, che trovi fondamento in una previsione pattizia a titolo derivativo (tramite contratto) o a titolo originario (tramite usucapione o destinazione del padre di famiglia). A confermarlo è la Cassazione con sentenza del 23 febbraio, n. 4816.

Cassazione civile, sez. II, sentenza 23 febbraio 2024, n. 4816

E.G., quale proprietaria, dell’appartamento sito al primo piano, evocava, dinanzi al Tribunale di Genova, U.M. e F.P., proprietari di immobile confinante con quello attoreo attraverso un cortiletto, assumendo che l’affaccio sulla parete ovest della propria abitazione presentava tre ampie finestre che davano luce e aria, consentendo l’affaccio sul detto cortiletto/distacco gravato da servitù di vista; aggiungeva che nel corso dell’anno 2008 i convenuti avevano installato una grossa scala metallica, con pianerottolo sulla sommità, fissata al pavimento del distacco e al prospetto condominiale, con paratia di protezione verticale verso la sua proprietà, che distava circa metri 1,5 dalle sue finestre, in violazione dell’art. 907 c.c.; chiedeva, pertanto, che venisse accertata la violazione delle distanze da parte della scala metallica, con condanna dei convenuti alla demolizione e ove possibile all’arretramento a metri 3 dalle sue finestre.

Instaurato il contraddittorio, il giudice adito rigettava integralmente le domande attoree.

In virtù di appello interposto dalla Grosso, la Corte di appello di Genova, nella resistenza degli appellati, in parziale accoglimento del gravame e in parziale riforma della sentenza di primo grado, dichiarava che la scala metallica in contesa violava le distanze di cui all’art. 907 c.c. e condannava gli appellati a demolirla ovvero, qualora possibile, ad arretrarla a metri tre, respinta la domanda di risarcimento dei danni, compensate le spese di lite per i due gradi per il 40%, poste per il resto a carico degli appellati.

A sostegno della decisione adottata la Corte distrettuale evidenziava che dalle prove assunte risultava accertata l’esistenza del diritto di veduta, sulla base del titolo di acquisto da parte della G.

Avverso l’indicata sentenza della Corte di appello di Genova hanno proposto ricorso per cassazione i M.-P.

La Suprema Corte, in accoglimento dei primi due motivi di ricorso, cassa con rinvio la sentenza impugnata.

La questione di diritto riguarda la legittimità o meno dell’apertura di vedute su un cortile di proprietà esclusiva di un edificio che perciò ne risulti gravato, con la peculiarità che tra l’edificio nel quale è realizzata la veduta ed il cortile non esiste nessun rapporto di accessorietà.

La giurisprudenza di legittimità che si è formata ha avuto riguardo a fattispecie in cui il cortile è comune ai due edifici e in ordine al quale si sono registrate due posizioni: in una fattispecie ha escluso l’applicabilità dell’orientamento che in mancanza di una disciplina contrattuale vincolante per i comproprietari al riguardo, il relativo uso è assoggettato alle norme sulla comunione in generale, e in particolare alla disciplina di cui all’art. 1102, comma 1 c.c., in difetto del presupposto della proprietà comune del cortile. Accanto a tale impostazione si è affiancata altra, che, a ben vedere, meglio si collega alla peculiarità della fattispecie in esame, secondo cui, anche in caso di accertata comunione di un cortile sito fra edifici appartenenti a proprietari diversi ed allorché fra il cortile e le singole unità immobiliari di proprietà esclusiva non sussista quel collegamento strutturale, materiale o funzionale, ovvero quella relazione di accessorio a principale, che costituisce il fondamento della condominialità dell’area scoperta, ai sensi dell’art. 1117 c.c., l’apertura di una veduta da una parete di proprietà individuale verso lo spazio comune rimane soggetta alle prescrizioni contenute nell’art. 905 c.c. Il partecipante alla comunione del cortile non può, in sostanza, aprire una veduta verso la cosa comune a vantaggio dell’immobile di sua esclusiva proprietà, finendo altrimenti per imporre di fatto una servitù a carico dell’edificio frontistante, applicabile ai rapporti tra proprietà individuali e beni comuni finitimi, che sono piuttosto disciplinati dalle norme che regolano i rapporti tra proprietà contigue od asservite.

Quest’ultimo orientamento ha trovato conferma in una recente pronuncia, con la quale è stato evidenziato che si tratta di rapporti tra proprietà individuali, anche se con beni comuni finitimi, che sono, piuttosto, disciplinati dalle norme che regolano i rapporti tra proprietà contigue od asservite.

Del resto, il riconoscimento di un diritto di veduta comporta una permanente minorazione della utilizzabilità del bene che ne è gravato da parte di chiunque ne sia o ne divenga proprietario, con attribuzione all’edificio limitrofo di un corrispondente vantaggio che a questo finisce per inerire come qualitas, ossia con le caratteristiche di realità tali da inquadrarsi nello schema delle servitù.

Nel caso in esame, il giudice di merito ha applicato seccamente la norma di cui all’art. 907 c.c. senza prima accertare in fatto se la situazione obiettiva trovasse fondamento in una previsione pattizia a titolo derivativo (tramite contratto) o a titolo originario (tramite usucapione o destinazione del padre di famiglia), fondando il proprio convincimento sulla mera anteriorità dell’apertura che da sola non può costituire il diritto di veduta, ritenendo peraltro erroneamente ricorrere ipotesi di non contestazione (tacita) circa lo stato dei luoghi descritto nei titoli di acquisto, confermata dall’eccezione di prescrizione con effetto liberatorio; trattasi di accertamento necessario per poter eventualmente escludere, alla luce del citato principio di diritto affermato dal Collegio, l’applicazione delle norme che regolano i rapporti tra proprietà contigue od asservite per far posto all’utilizzo del cortile nei termini fatti valere dalla originaria attrice.

Esito:

Cassa con rinvio la sentenza della Corte di appello di Genova n. 1526/2018 pubblicata il 18 ottobre 2018.

Riferimenti normativi:

Art. 905 c.c.

Art. 907 c.c.

Art. 1117 c.c.

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