google-site-verification=fW9ic3r_naxgruDksv5S6Ug4tN6LSm6wUy51njmsY0M I debiti fiscali delle società di capitali estinte
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I debiti fiscali delle società di capitali estinte non si trasmettono agli ex-soci


Dopo la cancellazione della società dal registro delle imprese il creditore (nella specie, l’Agenzia delle Entrate) può avere comunque interesse all’accertamento del proprio diritto nei confronti dei soci sia per la possibilità di sopravvenienze attive sia anche semplicemente per la possibile esistenza di beni e diritti non contemplati nel bilancio finale di liquidazione. In applicazione del principio della riferibilità esclusiva alla persona giuridica delle sanzioni amministrative tributarie l’estinzione della società ne determina l’intrasmissibilità sia ai soci sia al liquidatore.


Nella sentenza in esame la Suprema Corte affronta la questione della sorte dei debiti tributari dopo la cancellazione della società dal registro delle imprese e la sua conseguente estinzione ai sensi dell’art. 2495 c.c. sia per quanto riguarda la legittimazione passiva degli ex soci sia con riferimento alle sanzioni amministrative irrogate.

Sostengono, in particolare, i Giudici di legittimità che sulla legittimazione dei soci non incide la circostanza di fatto che nessuna somma è stata loro ripartita in sede di bilancio finale di liquidazione, in quanto non si configura come una condizione da cui dipende la possibilità di proseguire nei loro confronti l’azione intrapresa dal creditore sociale. Gli ex soci - come statuito dalle Sezioni Unite (sentenze 12 marzo 2013, nn. 6070 e 6072) e riaffermato nella sentenza in commento - sono destinati a succedere in giudizio nei rapporti debitori già facenti capo alla società estinta, e non definiti in sede di liquidazione, a prescindere dal fatto che ad essi sia stata assegnata una qualche somma in sede di riparto finale di liquidazione.

Affermano, quindi, i Giudici capitolini di non condividere l’orientamento, che è stato espresso pure di recente dalla stessa Corte (Cass. Civ., sentenza 31 gennaio 2017, n. 2444), secondo il quale gli ex soci subentrano alla società estinta dal lato passivo soltanto nei limiti di quanto riscosso a seguito della liquidazione con la conseguenza che l’accertamento dell’esistenza di un attivo distribuito costituisce presupposto per l’assunzione della qualità di successori in capo agli ex soci e della conseguente legittimazione passiva per la prosecuzione del processo.

Il mancato riparto di somme in sede di bilancio finale di liquidazione non esclude - secondo i Giudici di legittimità - neppure l’interesse del creditore ad agire per l’accertamento del proprio diritto anche nei confronti degli ex soci per la possibilità di sopravvenienze attive o, più semplicemente, per la possibile esistenza di beni e diritti non contemplati nel bilancio finale di liquidazione. Ed anche su questo punto i Supremi Giudici affermano di non condividere una recente pronuncia della medesima Corte (Cass. Civ., sentenza 22 luglio 2016, n. 15218), secondo la quale il limite di responsabilità dei soci previsto dall’art. 2495 c.c. ha incidenza diretta sull’interesse ad agire nei loro confronti da parte del creditore sociale, risultando così carente in mancanza della distribuzione di somme in sede di liquidazione.

La Corte, infine, si concentra sulle sanzioni amministrative irrogate alla società per la tardiva presentazione di alcune dichiarazioni dei redditi; sanzioni che la Commissione Tributaria Regionale, in sede di appello, aveva annullato, facendo leva sia sulla documentazione esibita in giudizio dalla società convenuta, nella quale si evidenziavano, oltre ai componenti positivi di reddito, anche quelli negativi, sia sulla dichiarazione di responsabilità dell’intermediario che, a giudizio della Commissione, concretava la buona fede del contribuente.

Al riguardo la Cassazione conferma l’utilizzabilità, ai fini della decisione, della documentazione contabile prodotta dalla società per la prima volta in sede contenziosa, non avendo l’Agenzia provato i presupposti di fatto per l’applicazione delle decadenze previste dall’art. 52, 5 comma, d.P.R. n. 633/1972 (ossia che il contribuente aveva nella sostanza rifiutato di esibire la documentazione richiestagli), neppure mediante l’allegazione di circostanze, anche indiziarie, utili a ravvisare tale condotta in sede di verifica.

La motivazione sulla sorte delle sanzioni costituisce, poi, un passaggio particolarmente significativo della decisione in discorso, laddove la Corte ne statuisce l’intramissibilità agli ex soci ed al liquidatore in forza del principio della responsabilità personale, che è codificato nell’art. 2, 2 comma, d. lgs. n. 472 del 1997 e che non consente il trasferimento in capo agli eredi delle sanzioni irrogate al de cuius (arg. ex art. 8 del medesimo decreto). “Tale principio - afferma il Collegio - assume viepiù rilevanza, ove si consideri che l’art. 7, 1 comma, d. l. 30 settembre 2003, n. 269del , convertito con la l. 24 novembre 2003, n. 326, ha introdotto il canone della riferibilità esclusiva alla persona giuridica delle sanzioni amministrative tributarie”.

Questa regola, secondo i Supremi Giudici, costituisce un principio di carattere generale, che definisce la fattispecie astratta sanzionatoria e che, quindi, deve essere applicato anche d’ufficio. Ne consegue il rigetto del ricorso proposto dall’Agenzia delle Entrate.

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