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ll nuovo istituto della riparazione che estingue i reati a querela

Analizziamo i primi quattro commi della Riforma Orlando (legge 23 giugno 2017, n. 103 – GU 4 luglio 2017, n. 154) finalizzati all’introduzione della causa di estinzione del reato conseguente a riparazione per tutti i reati a querela soggetta a remissione.


Inquadramento generale

Tale causa di estinzione del reato appare sicuramente soggettiva, in quanto la persona chiamata ad adempiere la condotta riparatoria è l’imputato. Inoltre, si evidenzia anche la sua portata rieducativa in quanto l’interessato ottiene il beneficio in ragione di un suo comportamento post factum, sintomatico del sopravvenuto ravvedimento e, quindi, della minore pericolosità sociale (per un’analisi della giurisprudenza di legittimità sul requisito della soggettività della condotta riparatoria si rimanda agli orientamenti formatisi in tema di circostanza attenuante ex art. 62 n. 6 c.p.: Cass. Pen. Sez. V, 25 febbraio 2008, n. 996; Cass. Pen Sez. II, 26 giugno 1979, n. 1161).

Relativamente al contenuto della condotta, la norma riprende parzialmente l’art. 35 d.lgs. n. 274/2000, prevedendo una riparazione del danno mediante restituzioni, risarcimento e – ove possibile - eliminazione delle conseguenze dannose. Elemento distintivo tra le due ipotesi è la previsione - nell’art. 162 ter c.p. – del presupposto della integralità della riparazione.

È prevista l’audizione della persona offesa (se compare), tuttavia, tale ascolto non è stato finalizzato a verificare la sussistenza di un consenso, in quanto alla vittima non viene conferito alcun potere di veto. Si deve desumere, quindi, che sussiste, in capo al giudice, un vero e proprio potere di scavalcamento della volontà punitiva dell’offeso, qualora questo sia stato adeguatamente risarcito.

Infine, la condotta riparatoria deve essere adempiuta entro un termine perentorio: prima dichiarazione di apertura del dibattimento, salvo la proroga delineata dal comma 2 dell’art 162 ter c.p. ove si prevede che se l’imputato non abbia potuto adempiere la condotta, per fatto a lui non addebitabile, può chiedere al giudice la fissazione di un ulteriore termine, non superiore a sei mesi.

Aspetti controversi: ambito di applicazione ed integralità della riparazione

Relativamente all’ambito di applicazione, l’originaria proposta normativa prevedeva, attraverso l’introduzione dell’art. 649 bis c.p., l’estensione del beneficio in esame anche ad alcuni reati contro il patrimonio procedibili d’ufficio, quali quelli rubricati dagli artt. 624 c.p., nei casi aggravati dal primo comma dell’art. 625 c.p. ai numeri 2,4,6,8 bis; nonché ai delitti di cui agli artt. 636 e 638 c.p. Nel corso dei lavori parlamentari l’art. 649 bis c.p. è stato soppresso, limitando così l’ambito di applicabilità ai soli reati procedibili a querela soggetta a remissione.

Seppure la previsione del beneficio estintivo limitato solo ad alcuni delitti contro il patrimonio e precedibili d’ufficio poteva lasciare perplessi (la previsione di cui all’art. 649 bis, così come strutturata, andava a determinare una disparità di trattamento tra imputati di reati che prevedono un medesimo trattamento sanzionatorio: si pensi ad esempio all’applicabilità della causa estintiva al delitto di furto, ma non alle ipotesi di usurpazione, deviazione di acque, invasione di terreni aggravate dall’art. 639 bis c.p.), non si può ignorare che tale tipologia di illeciti appariva particolarmente adeguata per l’istituto in esame. Infatti, l’ambito di applicabilità, così come delineato nella norma, rende poco appetibile l’istituto, soprattutto in considerazione dell’operabilità, per tali categorie di reati, dell’istituto della remissione della querela.

Altra criticità è data dalla previsione dell’integralità della riparazione.

Tale requisito apre un interrogativo: la riparazione deve essere integrale rispetto al danno criminale e al grado di colpa, ovvero al danno civile? Si riapre, quindi, la questione circa l’effettivo oggetto della condotta con non poche problematiche: in primis, sorgerebbe l’onere per il giudice penale di quantificare interamente il danno (civile?); inoltre, manca la previsione di una preclusione per la vittima, integralmente risarcita, ad agire nell’eventuale giudizio civile; infine, se la riparazione deve essere necessariamente omnicomprensiva di tutti i danni (compreso il lucro cessante, il mancato guadagno) si corre il concreto pericolo di aver creato un istituto premiale per il solo imputato benestante.

Nel propendere per un’interpretazione in linea con le finalità dell’istituto (deflazione e rieducazione), si ritiene più conforme al dettato normativo la previsione di una integralità della riparazione a soddisfare il danno criminale e, in ultima analisi, le esigenze di prevenzione e riprovazione nel reato; esulando, da tale ristoro, il soddisfacimento integrale del danno civile.

La principale criticità, tuttavia, è data dall’assenza nell’art. 162 ter c.p. di criteri su cui parametrare la riparazione. Manca infatti l’indicazione di parametri valutativi che permettano al giudice di valutare se la condotta riparatoria sia adeguata, sufficiente ovvero idonea. L’art. 35 del d.lgs. 274/2000prevede infatti una condotta riparatoria idonea a soddisfare le esigenze di prevenzione e riprovazione nel reato e l’assenza di tale previsione appare critica. Ci si chiede, infatti, se il giudice dovrà valutare la riparazione in base al grado di colpa, al fatto di reato, alle esigenze sia preventive che rieducative, ovvero se l’assenza di criteri renderà del tutto arbitraria l’applicazione del beneficio dell’estinzione del reato.

Criticità applicative

Oltre alle criticità già segnalate, restano aperte altre questioni, stante un vulnus di disciplina sul modus operandi della causa di estinzione in esame.

Nel partire dalla previsione del termine perentorio per adempiere la condotta riparatoria (prima dichiarazione di apertura del dibattimento) si segnala che nulla si dispone nell’ipotesi in cui sia stato emesso un decreto penale di condanna, ovvero nei casi di giudizio immediato; si apre, quindi, la questione circa la possibilità di ricorrere all’istituto della riparazione estintiva con l’atto di opposizione, ovvero nelle forme e nei termini di cui all’art. 458 co. 1 c.p.p..

Non mancano criticità neanche nella previsione dell’audizione della persona offesa, questa infatti ha il diritto di interloquire, ma non un dovere; di conseguenza se vuole essere sentita, deve comparire; ci si chiede, pertanto, se la mancata audizione della persona offesa, presente in udienza, possa costituire motivo di impugnazione, alla stregua di quanto è espressamente previsto nella disciplina della messa alla prova per adulti (art. 464 quatercomma 7 c.p.p.).

Allorquando il giudice ritenga non congrua la riparazione, non si comprende quale sia la forma del provvedimento (ordinanza ovvero decreto), né se questo debba avere dei requisiti motivazionali. Non è neanche previsto se, «fallita» la condotta riparatoria, l’imputato possa opzionare per gli altri riti premiali (patteggiamento, oblazione, messa alla prova, ecc.). Nello specifico, la problematica attiene alla coincidenza tra il termine finale per adempiere alla riparazione e quelli entro i quali possono essere richiesti gli altri riti premiali. Infatti, non è dato comprendere se l’intento del legislatore sia quello di prevedere alternatività, ovvero incompatibilità, tra riti strettamente connessi a scelte dell’imputato.

Altro dubbio attiene all’assenza di una disciplina in tema di acquisizione di prove durante il periodo di sospensione; infatti, nel caso in cui il processo venga sospeso per consentire la riparazione (sospensione che può durare fino sei mesi), l’art. 162 ter c.p. non disciplina alcuna ipotesi di acquisizione delle prove non rinviabili.

Conclusioni

Gli spunti di integrazione e le problematiche segnalate non rendono l’istituto meno appetibile; tuttavia, dall’analisi della norma emerge una disciplina incompleta.

Inoltre, si riscontra l’assenza di un coordinamento sia tra la proposta normativa e le cause di estinzione per riparazione preesistenti (soprattutto in riferimento all’art. 35 d.lgs. n. 274/2000) sia con tutti gli altri istituti premiali. Si rileva, infatti, che sono state recentemente introdotte diverse ipotesi premiali, che si aggiungono a quelle preesistenti: non punibilità per tenuità del fatto; estinzione del reato per esito positivo della messa alla prova per adulti; oltre alle ipotesi preesistenti di oblazione (sia obbligatoria che facoltativa), patteggiamento, giudizio abbreviato.

Nell’evitare il pericolo di impunità, un coordinamento tra le diverse ipotesi sembrerebbe auspicabile, anche in considerazione del fatto che l’art. 162 ter c.p. non prevede alcun limite alla possibilità di ricorrere all’istituto della riparazione come causa di estinzione del reato.

Legge 23 giugno 2017, n. 103 – GU 4 luglio 2017, n. 154

Lo Studio legale Giovannoni e Bettella è disponibile per assistenza e consulenza in materia.

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