google-site-verification=fW9ic3r_naxgruDksv5S6Ug4tN6LSm6wUy51njmsY0M Maso chiuso: illegittima la preferenza dei maschi
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Maso chiuso: illegittima la preferenza dei maschi nei confronti delle femmine







Con la sentenza n. 193 del 2017 il Giudice delle leggi ha ritenuto costituzionalmente illegittima la norma della Provincia autonoma di Bolzano, ormai abrogata ma vigente ratione temporis, nella parte in cui prevede che, tra i chiamati alla successione nello stesso grado del maso chiuso, ai maschi spetta la preferenza nei confronti delle femmine, in ragione della primazia del principio di parità tra uomini e donne, dovendosi l’assetto giuridico dell’istituto conformare a quello sociale e alla sua evoluzione, alla stregua del quale è ormai superata la concezione patriarcale della famiglia come entità bisognosa della formale investitura di un capo del gruppo parentale, senza che peraltro detta previsione sia funzionale alla conservazione dell’istituto nelle sue essenziali finalità e specificità e alla conseguente esigenza obiettiva di mantenere indiviso il fondo.

di Cesare Trapuzzano - Giudice del Massimario e del Ruolo presso la Corte di Cassazione con funzioni di assistente di studio della Corte costituzionale

Il caso

Il Tribunale di Bolzano sollevava questione di legittimità costituzionale, in riferimento all’art. 3, primo comma, della Costituzione, dell’art. 5 della legge della Provincia autonoma di Bolzano 25 luglio 1978, n. 33 (Modifiche al testo unico delle leggi provinciali sull’ordinamento dei masi chiusi, approvato con decreto del Presidente della Giunta Provinciale 7 febbraio 1962, n. 8, e alla legge provinciale 9 novembre 1974, n. 22), riprodotto dall’art. 18 del decreto del Presidente della Giunta Provinciale di Bolzano 28 dicembre 1978, n. 32 (Approvazione del testo unificato delle leggi provinciali sull’ordinamento dei masi chiusi), come modificato dall’art. 3 della legge della Provincia autonoma di Bolzano 24 febbraio 1993, n. 5 (Modifica delle leggi provinciali sull’ordinamento dei masi chiusi e della legge provinciale 20 febbraio 1970, n. 4, e successive modifiche ed integrazioni, sull’assistenza creditizia ai coltivatori diretti assuntori di masi chiusi), nella parte in cui prevede che, tra i chiamati alla successione nello stesso grado, ai maschi spetta la preferenza nei confronti delle femmine.

I rilievi del rimettente si incentravano sul fatto che la norma censurata si sarebbe posta in contrasto con l’art. 3, primo comma, Cost., che sancisce il principio di pari dignità sociale e di eguaglianza dei cittadini innanzi alla legge, senza distinzione di sesso. Sicché la disposizione avrebbe previsto un criterio di preferenza basato sul sesso, avendo così operato una discriminazione irragionevole in danno delle donne.

Al riguardo, il giudice a quo evidenziava la necessità di applicare il diritto sostanziale vigente al momento dell’apertura della successione, in virtù degli artt. 10 e 11 delle disposizioni sulla legge in generale, che prevedono che una norma non ha effetto retroattivo, salvo che vi sia contraria espressa disposizione. Tale principio risulta, peraltro, codificato nell’art. 46, primo comma, della legge 31 maggio 1995, n. 218 (Riforma del sistema italiano di diritto internazionale privato), che ha sostituito l’art. 23 delle disposizioni sulla legge in generale. Sarebbe stata, quindi, inapplicabile la successiva legge della Provincia autonoma di Bolzano 28 novembre 2001, n. 17 (Legge sui masi chiusi), che ha abrogato la preferenza in discussione, alle successioni apertesi in epoca anteriore alla sua entrata in vigore.

La decisione della Corte costituzionale

Con la segnalata sentenza la Consulta ha accolto la questione di legittimità costituzionale sollevata, dichiarando costituzionalmente illegittimo l’art. 5 della legge prov. Bolzano n. 33 del 1978, nella parte in cui prevedeva che, tra i chiamati alla successione nello stesso grado, ai maschi spettasse la preferenza nei confronti delle femmine.

Oggi l’istituto è disciplinato dalla legge prov. Bolzano n. 17 del 2001, che ne ha mantenuto la struttura ed i principi ispiratori, rivisitandolo in più punti, ed in particolare – per quel che qui interessa – rimodulando i criteri di successione ed assunzione del maso. In tale contesto è stata eliminata la prevalenza della linea maschile su quella femminile.

La Consulta ha premesso che con precedente pronunzia della Corte n. 40 del 1957, in relazione a questioni sostanzialmente analoghe, aventi ad oggetto gli allora vigenti artt. 16 e 18 della legge prov. Bolzano n. 1 del 1954, fu ritenuto che il contestato criterio di preferenza non collidesse con i principi generali dell’ordinamento giuridico, stabiliti nel codice civile in materia di successione legittima e divisione ereditaria e richiamati dall’art. 11 dello statuto speciale, adottato con la legge cost. n. 5 del 1948, né con il principio di eguaglianza, sancito dall’art. 3 Cost. Detta pronuncia seguiva la linea interpretativa già tracciata dalla precedente sentenza n. 4 del 1956, secondo cui il legislatore costituzionale ritenne di introdurre nell’ordinamento nazionale questo istituto perché fortemente espressivo della tradizione sudtirolese.

Nondimeno, il Giudice delle leggi ha superato tali risalenti conclusioni in tema di preferenza maschile. Infatti, la fattispecie si inquadra in una particolare ipotesi normativa in cui l’assetto giuridico deve conformarsi a quello sociale e alla sua evoluzione. L’evoluzione dell’antica usanza sudtirolese in un peculiare istituto giuridico dell’ordinamento italiano trova la sua corrispondenza nei perduranti bisogni ed esigenze di una collettività locale che si è attribuita tali regole ab immemorabili. D’altronde, la recezione del maso chiuso attraverso il più elevato livello normativo del nostro ordinamento (la legge costituzionale) costituisce fenomeno emblematico del pluralismo economico, sociale e giuridico che permea la Carta costituzionale, tanto più significativo in quanto di questo istituto prestatuale è stata più volte messa in dubbio la compatibilità rispetto all’ordinamento civile italiano, con il quale tuttavia convive da sempre nel limitato ambito territoriale della sua operatività. Ciò non toglie che l’ordinamento del maso chiuso non possa contenere specifiche regole che nel tempo acquistano un significato diverso in virtù dell’interpretazione evolutiva, la quale può condurre – come nel caso in esame – ad una loro diversa valutazione di compatibilità con i parametri costituzionali.

Sicché, ad avviso della Corte, proprio la persistenza dell’istituto ne comporta un’evoluzione, nel cui ambito alcuni rami possono divenire – come la disposizione impugnata – incompatibili con l’ordinamento nazionale e – conseguentemente – suscettibili di recisione senza che il maso chiuso sia scalfito nella sua identità continuativa e durevole. Sotto tale profilo va, peraltro, osservato come sia costante l’orientamento della Consulta, nel senso che la tutela accordata a particolari istituti come il maso chiuso non giustifica qualsiasi deroga ai principi dell’ordinamento, ma soltanto quelle che sono funzionali alla conservazione dell’istituto nelle sue essenziali finalità e specificità e che comunque non comportano la lesione di principi fondamentali dell’ordinamento costituzionale, quale la parità tra uomo e donna.

In tale prospettiva, afferma la Corte, l’orientamento risalente non può essere oggi condiviso alla luce del principio di parità tra uomo e donna, il quale assume primazia indefettibile nella valutazione degli interessi di rango costituzionale sottesi all’esame della questione. L’evoluzione sociale e normativa intervenuta dopo la richiamata sentenza n. 40 del 1957 è inequivocabile, così da ritenere irreversibilmente superata l’applicazione del maggiorascato e – quel che qui più interessa – della prelazione maschile alla successione nell’assunzione del maso chiuso, la quale risulta quindi in contrasto con l’art. 3 Cost. Dette regole, non a caso abrogate dalla legge provinciale n. 17 del 2001, fanno capo ad un contesto inattuale nel quale, all’esigenza obiettiva di mantenere indiviso il fondo, si associava una ormai superata concezione patriarcale della famiglia come entità bisognosa della formale investitura di un capo del gruppo parentale. La desuetudine della visione patriarcale della famiglia e del principio del maggiorascato, l’evoluzione normativa in materia di parità tra uomo e donna, hanno dunque profondamente mutato sia il contesto sociale che quello giuridico di riferimento.

Esito del giudizio di costituzionalità:

dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 5 della legge della Provincia autonoma di Bolzano 25 luglio 1978, n. 33 (Modifiche al testo unico delle leggi provinciali sull’ordinamento dei masi chiusi, approvato con decreto del Presidente della Giunta Provinciale 7 febbraio 1962, n. 8, e alla legge provinciale 9 novembre 1974, n. 22), riprodotto dall’art. 18 del decreto del Presidente della Giunta Provinciale di Bolzano 28 dicembre 1978, n. 32 (Approvazione del testo unificato delle leggi provinciali sull’ordinamento dei masi chiusi), come modificato dall’art. 3 della legge della Provincia autonoma di Bolzano 24 febbraio 1993, n. 5 (Modifica delle leggi provinciali sull’ordinamento dei masi chiusi e della legge provinciale 20 febbraio 1970, n. 4, e successive modifiche ed integrazioni, sull’assistenza creditizia ai coltivatori diretti assuntori di masi chiusi), nella parte in cui prevede che, tra i chiamati alla successione nello stesso grado, ai maschi spetta la preferenza nei confronti delle femmine.

Precedenti giurisprudenziali:

Corte cost., sentenza 13 maggio 2010, n. 173;

Corte cost., sentenza 7 dicembre 2006, n. 405;

Corte cost., sentenza 18 ottobre 1996, n. 340;

Corte cost., sentenza 23 giugno 1988, n. 691;

Corte cost., sentenza 5 maggio 1988, n. 505.

Corte costituzionale, sentenza 14 luglio 2017, n. 193

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