google-site-verification=fW9ic3r_naxgruDksv5S6Ug4tN6LSm6wUy51njmsY0M Contratti bancari, ripetizione indebito e prescrizione
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Contratti bancari, ripetizione indebito e prescrizione: corti di merito a confronto






In tema di prescrizione si da per scontato che l’eccezione generica e sprovvista di prova possa essere valida ad impugnare i singoli pagamenti extrafido pur in assenza nelle difese della banca del ben che minimo accenno a tale concetto.

Riesuma teorie sulla decadenza della mancata contestazione del conto corrente bancario, ovviamente la c.d. teoria torinese dell’art. 1194 c.c., ecc.

A contrastare dette teorie, al di la di centinaia di sentenze di merito e di legittimità, ci limitiamo ad allegare la recentissima Corte d’Appello di Lecce, Pres. Cons. Dott. Marcello Dell’Anna, n. 447 del 12 giugno 2013 (anche in www.studiotanza.it) che, ad esempio, in tema di art. 1194 c.c. così statuisce:

Sempre con il motivo in esame la banca critica il ragionamento del primo giudice nella parte in cui ha escluso l'applicabilità dell'art. 1194 c.c.. In ordine al rilievo in esame, osserva la Corte: A) che trattandosi di disposizione derogabile, il presupposto della sua applicabilità risiede nel fatto che sia la banca — soggetto creditore e che tiene il conto — ad imputare i versamenti effettuati dal correntista, prima agli interessi e poi al capitale e non, come di solito accade, prima al capitale — nel quale alla fine di ogni trimestre confluiscono capitale, interessi e spese varie — e poi agli interessi; B) che, in ogni caso, in sede di supplemento di indagine tecnica è stato conferito al C.T.U. l'incarico — tra gli altri — di ricostruire il rapporto dare — avere, tenendo conto del "meccanismo" di cui all'art 1194 c.c..

La sentenza di Taranto, pur se affetta da qualche sbavatura, è più apprezzabile: tuttavia commette anche questa sentenza il solito errore di accordare d’ufficio la prescrizione delle operazioni extrafido pur in mancanza di eccezione e prova da parte della banca.

Ma veniamo al diritto ed alla trattazione di dette tematiche, nella speranza di fare più luce, dove la luce già c’è ... ma si vogliono tenere gli occhi chiusi.

La sentenza n. 24418/2010 delle S.U., che non rappresenta affatto una novità per i cultori della materia, ha sostanzialmente sottolineato l’esistenza di due differenti dies a quo per il decorso della prescrizione dell’azione di recupero dell’indebito: uno per le operazioni solutorie (extrafido) ed uno per quelle non solutorie.

In particolare, la sentenza delle S.U. ha specificato come la prescrizione decennale della ripetizione dell’indebito decorra dalla data del pagamento e, quindi, per le operazioni solutorie (ovvero quelle effettuate extrafido o senza fido, ovvero caratterizzate da sconfinamenti sporadici[1]) dalla data del versamento, mentre per le operazioni non solutorie dalla chiusura del conto.

Da detto dies a quo decorre la possibilità di esercitare il diritto del correntista di ripetere l’indebito e l’inattività produce la prescrizione del diritto, sempre se eccepita specificatamente dalla banca: infatti, se la banca non eccepisce e prova l’esistenza delle operazioni solutorie non si verifica alcuna prescrizione.

Infatti, come si è detto, i dies a quo per il decorso del termine prescrizionale decennale sono due in quanto fanno capo a due differenti diritti sostanziali: uno per le operazioni solutorie e l’altro per quelle non solutorie (ovvero extrafido), precisando che l’eccezione di prescrizione decorrente dalla data di effettuazione dell’operazione del correntista (genericamente sollevata dal ceto bancario in tutti gli atti redatti prima della sentenza delle S.U.) è infondata in quanto la prescrizione decorre dalla chiusura del c/c, ovvero dal pagamento finale.

Vi è, pertanto, la necessità di una specifica eccezione sulla prescrizione decennale delle operazioni solutorie extrafido perché il giudice possa esaminare detta eccezione per il periodo dei dieci anni precedenti alla data della citazione o dell’atto interruttivo.

La prescrizione è, infatti, un’eccezione in senso stretto, cioè rilevabile solo su istanza di parte, ed è la banca a doverla sollevare e provare:

“In altri termini, chi eccepisce la prescrizione è tenuto a dimostrarne pienamente il relativo fatto costitutivo, nell’ambito del quale rientra anche il profilo riguardante la prova certa e giuridicamente idonea dell’individuazione del “dies a quo” relativo alla decorrenza effettiva per la maturazione del relativo termine prescrizionale (cfr. Cass. n. 11843 del 2007 e Cass. n. 16326 del 2009, secondo la quale, in generale, «l’eccezione di prescrizione, in quanto eccezione in senso stretto, deve fondarsi su fatti allegati dalla parte, quand’anche suscettibili di diversa qualificazione da parte del giudice, con la conseguenza che il debitore (la banca ndr), ove eccepisca la prescrizione del credito (del correntista ndr), ha l’onere di allegare e provare il fatto che, permettendo l’esercizio del diritto, determina l’inizio della decorrenza del termine ai sensi dell’art. 2935 c.c., restando escluso che il giudice possa accogliere l’eccezione sulla base di un fatto diverso, conosciuto attraverso un documento prodotto ad altri fini») Cass. Civ. n. 3465 del 12 febbraio 2013

In un giudizio introdotto in un rapporto ancora in essere, possono convivere l’azione di accertamento negativo del saldo effettivo[2] per le operazioni non solutorie e l’azione di ripetizione dell’indebito delle operazioni solutorie (sempre che ve ne siano state).

La prescrizione dell’azione di ripetizione dell’indebito delle operazioni solutorie non è un evento che si verifica automaticamente, ma conserva la natura di un’eccezione che va sollevata esclusivamente e specificatamente dalla parte (e non certo dall’ufficio[3]) nella memoria di costituzione e di risposta depositata nei venti giorni prima dalla data di prima comparizione.

Nella sola ipotesi che la parte (banca) abbia specificatamente sollevato e provato l’eccezione allora il correntista (attore) dovrà limitare la ripetizione dell’indebito delle sole operazioni solutorie all’ultimo decennio dall’atto di citazione (o altra interruzione della prescrizione), dovendosi considerare tutti i versamenti avvenuti prima di detti dieci anni prescritti[4].

In sostanza, se le operazioni non solutorie non possono essere oggetto di ripetizione in un conto ancora aperto in quanto non si è avuto alcun pagamento, al contrario possono essere ripetute le operazioni solutorie in quanto per la parte eccedente il fido si è verificato un pagamento: tant’è vero che solo per queste ultime decorre il dies a quo della prescrizione durante il rapporto.

Ciò non toglie, tuttavia, che il cliente possa chiedere al giudice l’immediata liquidazione, nel corso del rapporto, del saldo ricalcolato a seguito di CTU alla data di notifica dell’atto di citazione o di deposito dell’elaborato peritale: infatti, si tratta di una mera operazione di prelievo su un conto attivo che non può essere operata direttamente dal cliente, visto il contenzioso in essere con la banca, e che deve essere espressamente ordinata dal giudice; il pagamento definitivo delle varie appostazioni, di segno contrario, si avrà solo con la chiusura del conto.

Risulta evidente che parte attrice ha avviato, nell’ipotesi di rapporto in corso, una domanda volta a:

  • promuovere, preliminarmente, l’azione imprescrittibile, ai sensi dell’art. 1422 c.c., per far valere la nullità (parziale) del contratto, ovvero di alcune clausole contrattuali (es. capitalizzazione trimestrale bancaria, ecc.);

  • promuovere, per l’effetto di dette nullità, l’azione di accertamento negativo del saldo finale, relativamente alle operazioni non solutorie, con richiesta di messa a disposizione dell’eventuale saldo positivo alla data dell’atto di citazione o del deposito dell’elaborato peritale, in un rapporto ancora in essere;

  • promuovere l’ulteriore azione di ripetizione dell’indebito pagamento ex art. 2033 c.c. delle operazione solutorie extrafido (del decennio anteriore alla citazione o alla lettera interruttiva della prescrizione, in caso di valida eccezione di prescrizione sollevata dalla banca).

Sul punto si è espressa in maniera chiara il tribunale di Nola nella sentenza n. 1946 del 2 luglio 2013 (in http://www.studiotanza.it/) che, se da un lato rigetta l’azione ci ripetizione su un rapporto aperto, dall’altro “merita accoglimento la domanda principale di accertamento del saldo a favore del correntista, che si quantifica in complessivi euro .... sicchè deve ritenersi accertato che il saldo finale relativo al rapporto di c/c n. 446 è favorevole al correntista attore per un importo complessivo di euro ...”

  • Risulta evidente che parte attrice ha avviato, nell’ipotesi di rapporto chiuso, una domanda volta a:

  • promuovere, preliminarmente, l’azione imprescrittibile, ai sensi dell’art. 1422 c.c., per far valere la nullità (parziale) del contratto, ovvero di alcune clausole contrattuali (es. capitalizzazione trimestrale bancaria, ecc.);

  • promuovere, per l’effetto di dette nullità, l’azione di accertamento negativo del saldo finale ricalcolato;

  • promuovere l’ulteriore azione di ripetizione dell’indebito pagamento ex art. 2033 c.c., e se la banca ha tempestivamente eccepito e provato la prescrizione delle operazioni solutorie (extrafido), limitare l’azione di ripetizione alle operazione solutorie extrafido (del decennio anteriore alla citazione o alla lettera interruttiva della prescrizione, in caso di valida eccezione di prescrizione sollevata dalla banca) nonché quelle non solutorie (intrafido e ripristinatorie) dell’intero periodo negoziale, cioè dall’apertura al saldo finale.

La mancata tempestiva contestazione, da parte del ceto bancario, della prescrizione delle operazioni extrafido, nel periodo anteriore al 2 dicembre 2010, comporta il fatto che l’applicazione pratica della sentenza delle S.U. ha avuto i suoi effetti o nei giudizi instaurati successivamente a tale data o ai giudizi appena iniziati nei quali non erano ancora decorsi i 20 giorni utili per la costituzione del convenuto.

Invero, il ceto bancario, prima di detta sentenza, nelle proprie difese non ha mai specificamente eccepito la prescrizione delle operazioni operate extrafido, indicando specificatamente le singole operazioni a cui si riferisce e producendo la relativa documentazione (estratti conto, contratto di affidamento, salvo che dagli e/c non risultino degli sforamenti sporadici), nonostante la quasi totalità della Giurisprudenza da decenni sosteneva l’esistenza del pagamento nelle c.d. operazioni extrafido.

In buona sostanza la banca che eccepisca la prescrizione decennale delle operazioni solutorie (cfr. Tribunale di Napoli – Sezione III, Dott. Fulvio TRONCONE, Sent. 1083 del 1° febbraio 2011), entro e non oltre 20 giorni prima dell’udienza di citazione indicata dall’attore (cfr. artt. 166 e 167 cpc), deve:

1) allegare il contratto di affidamento che indichi il limite dell’affidamento oltre il quale l’operazione è considerata extrafido oppure asserisca che non vi è alcun contratto e che gli sconfinamenti siano sporadici e non si protraggano costantemente nel tempo[5];

2) elencare in dettaglio le rimesse che superino detto limite;

3) produrre gli e/c comprovanti detto supero ed il tempo in cui si è verificato, ovvero oltre 10 anni prima della domanda giudiziale o della preventiva richiesta stragiudiziale di restituzione delle somme indebitamente percepite.

Ovviamente, sin da ora va evidenziato che se il contratto originario è viziato da nullità parziali (ad es. clausola anatocistica illegittima, ecc.), anche l’e/c porterà dei saldi viziati che non potranno, dunque, definire se quella eccepita rimessa sia solutoria o meno.

Solo previa epurazione degli estratti conto dagli effetti delle clausole nulle, con i conseguenti addebiti illegittimi, si può pervenire al c.d. “saldo ricalcolato”: cioè si individuerà il limite dell’affidamento oltre il quale l’operazione è sempre da considerare extrafido e, quindi, si potrà vedere se quella specifica operazione sia solutoria o meno, nei sensi indicati dalla nota sentenza delle S.U. n. 24418 del 2 dicembre 2010.

In particolare la sentenza, così si esprime sul punto:

“Occorre allora aver riguardo, più ancora che al già ricordato carattere unitario del rapporto di conto corrente, alla natura ed al funzionamento del contratto di apertura di credito bancario, che in conto corrente è regolata. Come agevolmente si evince dal disposto degli artt. 1842 e 1843 c.c., l’apertura di credito si attua mediante la messa a disposizione, da parte della banca, di una somma di denaro che il cliente può utilizzare anche in più riprese e della quale, per l’intera durata del rapporto, può ripristinare in tutto o in parte la disponibilità eseguendo versamenti che gli consentiranno poi eventuali ulteriori prelevamenti entro il limite complessivo del credito accordatogli. Se, pendente l’apertura di credito, il correntista non si sia avvalso della facoltà di effettuare versamenti, pare indiscutibile che non vi sia alcun pagamento da parte sua, prima del momento in cui, chiuso il rapporto, egli provveda a restituire alla banca il denaro in concreto utilizzato. In tal caso, qualora la restituzione abbia ecceduto il dovuto a causa del computo di interessi in misura non consentita, l’eventuale azione di ripetizione d’indebito non potrà che essere esercitata in un momento successivo alla chiusura del conto, e solo da quel momento comincerà perciò a decorrere il relativo termine di prescrizione. Qualora, invece, durante lo svolgimento del rapporto il correntista abbia effettuato non solo prelevamenti ma anche versamenti, in tanto questi ultimi potranno essere considerati alla stregua di pagamenti, tali da poter formare oggetto di ripetizione (ove risultino indebiti), in quanto abbiano avuto lo scopo e l’effetto di uno spostamento patrimoniale in favore della banca. Questo accadrà qualora si tratti di versamenti eseguiti su un conto in passivo (o, come in simili situazioni si preferisce dire “scoperto”) cui non accede alcuna apertura di credito a favore del correntista, o quando i versamenti siano destinati a coprire un passivo eccedente i limiti dell’accreditamento. Non è così, viceversa, in tutti i casi nei quali i versamenti in conto, non avendo il passivo superato il limite dell’affidamento concesso al cliente, fungano unicamente da atti ripristinatori della provvista della quale il correntista può ancora continuare a godere.”

Un conto è, dunque, scoperto nel momento in cui non accede ad alcuna apertura di credito a favore del correntista: quindi, non accede neppure ad un’apertura di credito verbale ovvero per facta concludentia.

La Giurisprudenza della S.C. è concorde, infatti nel sottolineare che:

Secondo una giurisprudenza consolidata la pattuizione relativa alla trasformazione del conto in apertura di credito può realizzarsi anche per facta concludentia (tra le altre, Cass. n. 14470/2005); nella specie - chiarisce il giudice a quo - già una clausola del contratto di conto corrente prevedeva le condizioni per l’apertura di credito e la concessione di continui sconfinamenti, protratti costantemente nel tempo, ha dato luogo al perfezionarsi di tale apertura. Cassazione civile, sez. I, 17 febbraio 2011, n. 3903

Quindi, un conto è scoperto nel momento in cui non esiste un contratto scritto di apertura di credito e nel corso del rapporto non si siano, comunque, verificati continui sconfinamenti, che protratti costantemente nel tempo, abbiano dato luogo al perfezionarsi di un’apertura di credito per facta concludentia.

In estrema sintesi il conto è privo di apercredito quando non vi sia un contratto scritto e quando gli sconfinamenti siano solo sporadici.

Quindi, sono ipotizzabili le seguenti situazioni:

1) rimessa su conto “scoperto - ricalcolato” non affiancato da alcuna (ovvero perché revocata) apertura di credito (né scritta, né verbale): prescrizione della condictio indebiti dalla data della rimessa (ipotesi dello sconfinamento sporadico);

2) rimessa su conto “scoperto - ricalcolato” affiancato da un’apertura di credito verbale: nessuna prescrizione extrafido è eccepibile in quanto i continui sconfinamenti, protratti costantemente nel tempo, hanno dato luogo al perfezionarsi di un’apertura di credito per facta concludentia, ovviamente priva di limite;

3) rimessa su conto “scoperto - ricalcolato” dopo prelievi che abbiano superato il limite dell’apertura di credito scritta: prescrizione della condictio indebiti dalla data della rimessa da scomputarsi sul saldo ricalcolato dell’e/c in quel momento;

4) rimessa su conto “scoperto - ricalcolato” che non ha mai superato il limite dell’apertura di credito scritta: è eccepibile solo la prescrizione decorrente dalla chiusura del conto.

Da quanto detto appare evidente che, se c’è stato un affidamento, è lo scoperto che determina se il versamento è ripristinatorio o è solutorio.

Il senso dell'apertura di credito è quello di mettere una somma, fino ad un certo limite, a disposizione dell'accreditato con la possibilità di quest’ultimo di ripristinare questo “monte credito” attraverso versamenti durante il periodo d'indigenza del contratto. Detta messa a disposizione può avvenire con un contratto scritto o verbale (ovvero per facta concludentia).

Nel contratto di apertura di credito è come se ci fosse un cassetto nel quale di volta in volta l'accreditato trova, perché la Banca glielo mette a disposizione, un pacchetto di banconote e quello le può prelevare, tutte o in parte, e le può andare a rimetterle, in tutto o in parte, per poterle riutilizzare all’occorrenza nel limite del pacchetto inizialmente concesso.

Le chiavi del cassetto ce le ha l’accreditato: è lui che nel momento in cui apre o chiude il cassetto preleva o rimette dentro il cassetto le banconote, fa delle operazioni che non sono pagamento appunto perché la chiave del cassetto rimane in mano sua, resta nella sua disponibilità.

Il prelievo o il ripristino, a seconda dei casi, ridurrà o riaumenterà la disponibilità residua per ulteriori operazioni che volesse fare, ma sempre entro il limite di quel “monte credito”.

Altro è invece quando, ed è lì e solo lì che si ha l'atto solutorio, quando il versamento che il cliente effettua è un versamento, che andando a ripianare uno scoperto, non aumenta in nulla la sua facoltà di ulteriore disponibilità, se non per effetto di una ulteriore eventuale messa a disposizione. In tal caso le chiavi del cassetto le ha la Banca ed è lei e solo lei che potrà stabilire se l’accreditato potrà o non potrà ulteriormente usufruire di quell’ importo che supera il “monte credito” concesso.

In questo caso quel versamento ha una funzione oggettivamente solutoria; assolve la funzione appunto di reintegrare, nella liquidità della Banca, quello che attraverso il debito, attraverso il credito che fino a quel momento. il correntista aveva nei confronti della Banca, non era stato saldato.

Certo è fondamentale per la certezza del diritto prendere come linea di demarcazione il reale ammontare di detto “monte credito” e non certo quello apparente derivante dall’estratto conto bancario, predisposto unilateralmente dalla banca che annota le operazioni, ivi comprese quelle ab origine illegittime.

In questa logica che valore ha il saldo dell’e/c redatto unilateralmente dalla banca? La risposta in diritto non può essere che una: il saldo dell’e/c bancario è un dato falso ed illegittimo in quanto alterato dalle nullità assolute ed originarie che viziano le clausole economiche (ad es. l’anatocismo, ma anche, nei vari casi le CMS, gli interessi ultralegali e non come variati con l’alchimia delle valute fittizie, le spese forfettarie).

La S.C. in una sua recente sentenza ha sottolineato come il saldo degli e/c bancari redatti sulla base di clausole contrattuali illegittime sia erroneo e, dunque, non utilizzabile:

La Corte d’appello ha correttamente ritenuto che la nullità della clausola di capitalizzazione trimestrale degli interessi e di quella di determinazione del tasso in base agli usi di piazza comportava per la Banca l’onere di provare l’effettiva entità del proprio credito, non essendo a tal fine sufficiente la produzione del saldo conto come avvenuto nella specie. Tale affermazione è del tutto conforme all’orientamento espresso da questa Corte secondo cui "una volta esclusa la validità della clausola sulla cui base sono stati calcolati gli interessi, soltanto la produzione degli estratti a partire dall’apertura del conto corrente - considerato che, in virtù dell’unitarietà del rapporto, da tale momento decorre la prescrizione del credito di restituzione per somme indebitamente trattenute dalla banca a titolo di interessi (Cass. 9 aprile 1984, n. 2262) - consente, attraverso una integrale ricostruzione del dare e dell’avere con l’applicazione del tasso legale, di determinare il credito della banca, sempreché la stessa non risulti addirittura debitrice, una volta depurato il conto dalla capitalizzazione degli interessi non dovuti. Allo stesso risultato, evidentemente, non si può pervenire con la prova del saldo, comprensivo di capitali ed interessi, al momento della chiusura del conto. Infatti, tale saldo non solo non consente di conoscere quali addebiti, nell’ultimo periodo di contabilizzazione, siano dovuti ad operazioni passive per il cliente e quali alla capitalizzazione degli interessi, ma a sua volta discende da una base di computo che è il risultato di precedenti capitalizzazioni degli interessi" (Cass. 10692/07 Cass. 16679/09). (…). Deve concludersi, quindi, che, a seguito della contestazione da parte del F. delle clausole in esame relative alla determinazione degli interessi, spettava alla banca fornire la prova dell’andamento dei rapporti di conto corrente a partire dalla loro origine. Cassazione civile, sez. I, 25 novembre 2010, n. 23974

Ed ai fini della valutazione dell’essere stato (o meno) superato il limite di affidamento occorrerà rinnovare la C.t.u., con l’avvertenza che l’esperto dovrà calcolare i saldi del conto in conformità con le prescrizioni contenute nella presente decisione, e quindi epurandolo degli interessi e delle spese non dovute, secondo le statuizioni che seguono. (…) Sul punto va solo osservato che il N. M. , ha chiesto il ricalcolo del conto alla luce delle sollecitate declaratorie di nullità di alcune clausole negoziali: con la conseguenza che gli interessi fino ad allora non erano già dovuti a cadenza periodica infrannuale e non può, perciò, dirsi prescritta la relativa domanda. Infatti si tratta di interessi che devono essere ricalcolati, ricostruendosi il rapporto di conto corrente, sulle somme che devono essere riaccreditate sul conto a seguito di pronuncia giudiziale di nullità ovvero di inesistenza di talune clausole. Appello L’Aquila, Dott.ssa Maria Gilda BRINDESI, Sent. 852 del 12 giugno 2012.

Quod nullum est nullum effectum producit: l’estratto conto bancario è, dunque, frutto di nullità assolute e non potrà avere nessun valore se non quello storico delle singole appostazioni, in sé e per sé considerate (nel loro titolo giustificativo), come annotate con la data operazione (e non con la falsa data valuta).

Quindi, bisognerà ricostruire il saldo (saldo ricalcolato) per sapere se, nel momento in cui quel versamento è intervenuto, il conto corrente era in rosso oppure non lo era, perché a seconda dei casi quel versamento avrà una natura differente.

È ripugnante, specialmente dal punto del diritto, voler riconoscere qualsivoglia valore alla notifica dell’e/c bancario: la Giurisprudenza sulla decadenza della mancata contestazione degli e/c ne è un’ulteriore conferma.

L’apparenza del saldo bancario, quello che risulta dalla contabilità tenuta dalla Banca, è privo di qualsivoglia valenza giuridica.

Il saldo ricalcolato secondo diritto, il saldo non formale dell’e/c bancario, ma il saldo vero, reale, sostanziale o rettificato, cioè il saldo non quale è nella contabilità, ma quale sarebbe dovuto essere, non l’apparenza ma il dover essere, ciò che avrebbe dovuto essere secondo diritto è l’unica strada giuridicamente percorribile. Il resto è arbitrio ed il nostro è uno Stato di diritto e non di “diritto delle banche”.

Quindi, lo sconfinamento va individuato rispetto al saldo rinveniente da quelle operazioni di ricostruzione a ritroso dell’andamento del conto ed eliminando dal conto quegli interessi e competenze che, secondo alcune circostanze, possono essere ritenuti non dovuti per effetto della nullità delle clausole anatocistiche ed altre differenti a seconda delle pattuizioni contrattuali avvenute tempo per tempo durante la durata del rapporto.

Detto lavoro di ricostruzione a ritroso dell’andamento del conto va effettuato con la stessa tecnica utilizzata dalla banca nell’addebito delle competenze bancarie.

Come è facile constatare dall’esame di un qualsiasi e/c può evincersi che la banca, alla fine di ogni e/c, calcola:

  1. gli eventuali interessi creditori al tasso convenzionale o a quello arbitrario, decrementandoli con l’applicazione dei c.d. giorni di valuta fittizi;

  2. gli eventuali interessi debitori al tasso convenzionale o a quello arbitrario, incrementandoli con l’applicazione dei c.d. giorni di valuta fittizi;

  3. le commissioni di massimo scoperto nell’aliquota convenzionale o arbitraria, sull’affidato o sullo scoperto o su entrambi;

  4. le spese forfettarie e varie, convenzionali o arbitrarie.

La somma dei nn. 1, 2, 3 e 4 viene posta come capitale nel trimestre in corso o come operazione del trimestre successivo (la famosa capitalizzazione dell’interesse anatocistico).

Quindi, in detta ricostruzione a ritroso dell’andamento del conto non vi è posto per l’applicazione dell’art. 1194 c.c., in quanto è la stessa banca ad aver voluto imputare dette competenze come capitale.

Infatti, nel caso del conto corrente, non è il debitore (cioè il correntista) che imputa il pagamento all’una piuttosto che all’altra voce, limitandosi egli a versare somme per la registrazione sul conto corrente, ma è il creditore che, per facta concludentia, imputa le competenze a capitale.

Le logiche fin qui esposte, trovano conferma in una particolarmente profonda sentenza della Corte d’Appello di Torino:

“Con il primo motivo il fallimento ha censurato il primo giudice laddove lo stesso ha ritenuto applicabile alla fattispecie de qua il criterio di imputazione di cui all’art. 1194 C.C. e senza l’esclusione della commissione massimo scoperto (di seguito CMS) ritenuta indebita dalla società e poi dal fallimento di quest’ultima. Infatti secondo la difesa dell’appellante «l’art. 1194 CC non è invocabile perché per imputare a pagamento una determinata somma occorre che il credito sia liquido ed esigibile ed occorre che il creditore abbia la disponibilità del credito. Non é così per la banca nell’ambito di un rapporto di conte corrente bancario, ancor più se affidato. In realtà la banca ha la disponibilità e dunque ha le liquidità ed esigibilità solo quando revoca la linea di credito e chiede il rientro oppure alla scadenza del contratto. Prima di allora la banca non può pretendere alcun pagamento poiché è solo il cliente che può beneficiare della disponibilità delle somme versate o concesse dalla banca». La difesa della banca appellata ha replicato che l’appellante non ha specificamente censurato il punto di partenza del ragionamento del primo giudice ovvero la mancata prova di una formale apertura di credito insieme alla stipula del contratto di conto corrente e, pertanto, non sarebbero censurabili le conseguenze di tale statuizione. Senonché, in proposito, deve osservarsi che lo stesso primo giudice ha affermato che “non risulta conclusa tra le parti alcuna formale apertura di credito, per contro il rapporto complessivamente considerato venne caratterizzato da sconfinamenti accordati dall’istituto di credito convenuto, pendendo i quali ebbero corso le rimesse effettuate tempo per tempo dalla (v. pag.10)». E ancora «… l’eliminazione di ogni effetto anatocistico ... dal calcolo dagli interessi maturati tempo per tempo in favore della banca per effetto dell’utilizzazione della somma di fatto accreditata per concessione di uno “sconfinamento” in assenze di fido...».

Il che significa, senza ombra di dubbio, cha, nonostante la mancanza di una formale apertura di credito (dal punto di vista del contratto cartaceo – anche se dagli.estratti conto – v. il primo del 31/5/1993 nei fascicolo del fallimento - si legge “tassi in essere a debito per APC” - che non può significare altro che apertura credito - fiduciaria decorrenza 24/5/1993, data di apertura del conto corrente 10/955) vi fu un “affidamento” di fatto della banca, come del resto emerge chiaramente dal semplice esame degli estratti conto (prodotti in atti), dal fatto che sin dal primo anno (1993) di apertura del conto corrente n.10/995 (v, allegato n.1 alla CTU) il conto era “in rosso” (passivo) e tuttavia lo stesso è proseguito fino al 2003, quando la società ha chiesto il ricalcolo del debito e si è vista immediatamente vendere i titoli dati in pegno alla banca.

Appare allora certo che, impugnare l’applicazione dell’art.1194 C.C. al rapporto di conto corrente sulla base della situazione di fatto venutasi a creare tra correntista e banca (che ha sempre consentito gli “sconfinamenti”) anche senza contestare il punto di partenza del ragionamento del prima giudice (mancanza di apertura di credito), significa superare la mancanza di un formale contratto di apertura di credito per attenersi però al fatto, allegato in causa e valutato sussistente anche dal primo giudice (che ha riconosciuto sussistente lo sconfinamento continuo), per contestare l’applicazione dell’art. 1194 CC sulla base della ricostruzione del rapporto così come si è concretamente sviluppato nel corso del tempo tra le parti. Del resto in primo grado la CTU (v. relazione in primo grado) sulla base della analisi degli estratti conto esaminati, aveva individuato una soglia di affidamento (empirica) di £ 230 milioni (vedi le tabelle con la casella intestata “fido”). Tuttavia tale soglia di affidamento non è stata precisamente individuata neanche con la CTU disposta in sede d’appello e allora deve domandarsi su chi gravava l’onere della prova della reale entità dell’affidamento al fine di stabilire il discrimine tra “pagamento” e “rimessa” destinata a riespandere la misura dell’affidamento nuovamente utilizzabile dal correntista (come insegnato dalla Suprema Corte con la sentenza n.24418/2010). La risposta non può essere che una sola (in virtù del principio di prossimità della prova) ed è che quella prova incombeva alla banca. Infatti quest’ultima aveva tutto l’interesse a definire quale era stata la soglia dell’affidamento (concesso in concreto al correntista) al fine di stabilire quali versamenti del correntista rientrassero nel limite previsto (ricostituzione della misura dell’affidamento) e quali (quelli oltre il “fido”) costituissero “pagamenti”, con la conseguente applicabilità a questi ultimi, del criterio di imputazione di cui dell’art. 1194 C.C. Apparirebbe invero troppo semplice (e comodo) non dare la.prova della soglia di affidamento e da ciò far derivare, conseguentemente, che i versamenti del correntista siano da considerare tutti — indistintamente — dei “pagamenti” eseguiti su un conto corrente passivo, senza tener conto della concreta realtà del rapporto (con affidamento di fatto concesso dalla banca al correntista).

La questione va pertanto rovesciata, nel senso che, in mancanza di prova della soglia di affidamento (concretamente effettuato dalla banca verso la propria cliente) i versamenti costantemente effettuati nel tempo dalla correntista non possono essere considerati tutti ‘pagamenti’ bensì “rimesse” effettuate per ripristinare l’affidamento sul quale il correntista poteva contare e continuare a godere. Di conseguenza deve concludersi, parafrasando l’insegnamento della Suprema Corte nella sentenza sopra citata, che il versamento eseguito dal cliente su un conto corrente, il cui passivo non abbia superato il limite dell’affidamento concesso (di fatto, per facta concludentia) dalla banca, non ha né lo scopò né l’effetto di soddisfare la pretesa della banca a vedersi restituire le somme date al correntista (credito che, in costanza del rapporto di conto corrente, non é scaduto e quindi non è esigibile), bensì quello, appunto, di ricostituire la misura dell’affidamento riutilizzabile, ampliando (di nuovo) la facoltà di indebitamento concessa dalla banca (nella specie senza un limite preciso contrattualmente determinato e precisamente individuato).

Del resto era stata la stessa difesa della banca a chiedere una integrazione del quesito da affidare al CTU nel senso che «la risposta sia elaborata, con riguardo alla applicazione dell’art. 1194 CC sia rispondendo negli esatti termini di cui al quesito; sia applicando tale norma alle rimesse che risulteranno avere carattere solutorio in quanto effettuate al di là dell’affidamento» (la cui soglia, però, non è mai stata specificamente individuata e provata).

La Corte ritiene, inoltre, di aderire all’orientamento della giurisprudenza di legittimità in base al quale il meccanismo di imputazione di cui all’articolo 1194 CC, risolvendosi in una modalità prettamente estintiva, ha motivo e possibilità di operare unicamente in sede di chiusura (se non definitiva, quanto meno periodica) del rapporto, ovvero allorché le reciproche posizioni di dare/avere tra le parti siano tutte non soltanto liquide o liquidabili ma anche esigibili. Infatti “la disposizione dell’articolo 1194 CC, secondo cui senza il consenso del creditore il debitore non può imputare il pagamento al capitale piuttosto che agli interessi o alle spese, presuppone la simultanea esistenza delle liquidità e della esigibilità di ambedue i crediti e cioè sia di quello per capitale che dell’altro accessorio per interessi o spese...” (V. Cassazione 27 ottobre 2005 n. 20904 nonché Cass. 15 luglio 2009 n.16448, in fattispecie di risarcimento del danno da atto illecito, ma con principio di diritto applicabile anche al conto corrente bancario).

Va d’altra parte considerato come, nella specie, non possa parlarsi di una vera e propria “imputazione del debitore” (limitandosi il correntista ad effettuare dette rimesse senza imputazione alcuna) e come, soprattutto, le stesse parti del rapporto contrattuale, nel prevedere la capitalizzazione periodica degli interessi (quantomeno a partire dal 1 luglio 2000), avessero, perciò soltanto, convenuto la inesigibilità del credito per interessi fino allo scadenza periodica prevista; inoltre non appare rispondente alla realtà che la banca, dopo aver messo a disposizione del cliente una determinata somma in conto corrente (con o senza formale affidamento), possa pretendere il pagamento degli interessi debitori in maniera continuativa, cioè man mano che questi si producano. Se è vero, infatti, che gli interessi si producono giorno per giorno, non può dirsi, di norma, che gli stessi possano essere altresì pretesi dalla banca ‘giorno per giorno’ (operazione che risulterebbe anzitutto antieconomica, stante il rapporto tra oneri di contabilizzazione e di riscossione da un lato e la verosimile esiguità degli importi dovuti quotidianamente per interessi).

Come lucidamente affermato nella sentenza n. 3793/2005 del Tribunale di Torino – che questa Corte ritiene di condividere totalmente – «Non è infatti previsto dal contratto bancario degli interessi, che pur maturano giorno per giorno, possano essere richiesti in pagamento giorno per giorno. Ciò sembra, anzi, se non letteralmente vietato dal contratto stesso, sostanzialmente contrastante con l’erogazione del credito, in quanto è palesemente stridente che la banca, nel momento in cui consente al correntista, sulla base di un affidamento o indipendentemente da esso, di attingere al credito, per importi sia unitariamente sia complessivamente magari consistenti, pretenda tuttavia per giorno il pagamento di piccole somme a titolo di interessi, con il risultato pratico che il correntista non é mai in grado di conoscere esattamente l’effettivo ammontare della sua disponibilità, il saldo essendo sempre influenzato dallo stillicidio quotidiano dei microcalcoli e prelievi degli interessi …».

In difetto, pertanto, se non di liquidità, quantomeno di esigibilità del credito della Banca per interessi é, dunque, legittimo escludere, secondo il su riportato orientamento giurisprudenziale l’applicabilità, nella specie, del criterio di imputazione di cui all’articolo 1194 CC.

In conclusione tra le varie ipotesi formulate dal c.t.u. in base al quesito affidatogli, dovranno essere prese in considerazione solo quelle calcolate «senza l’applicazione delcriterio di cui all’articolo 1194 CC». Corte Appello Torino, rel. Cons. Dott. Edoardo BARELLI INNOCENTI, SENTENZA n. 322 del 23 febbraio 2012.

Pertanto, per giungere ad una corretta operazione di riclassificazione e ricalcolo delle appostazioni bancarie il CTU dovrà rispondere al seguente quesito:

“... con riferimento al rapporto di apertura di credito mediante affidamento con scopertura su c/c ordinario, oggetto del giudizio, e tenuto conto dei conti collegati intrattenuti dal correntista con la banca, il CTU:

a) calcoli la durata solare dell’intera apertura di credito tra le parti in causa;

b) calcoli la scopertura media in linea capitale;

c) calcoli il saldo in linea capitale (partendo da saldo iniziale pari a zero in mancanza di documentazione precedente) nel corso dell’intero rapporto;

d) per i contratti stipulati prima dell’entrata in vigore della legge n. 154/92, applichi solo gli interessi (sia a credito che a debito per il correntista) al saggio legale (art. 1284 c.c.) in luogo di quelli determinati mediante rinvio agli usi della piazza, sino al momento in cui è intervenuta tra le parti espressa pattuizione per iscritto con la quale è stato determinato il saggio degli interessi dovuti dal correntista. Per il periodo successivo, il c.t.u. dovrà applicare il tasso convenzionale (ovvero il più favorevole all’utente tra quello contrattuale e quello degli e/c) semplice, cioè senza capitalizzazioni, con eliminazione delle c.m.s. trimestrali, computando le valute delle singole operazioni dal giorno in cui la banca ha acquisito o perduto la disponibilità dei relativi importi, oppure in difetto con la valuta del giorno dell’operazione effettuata dall’utente, partendo da un saldo iniziale pari a “0” (nell’ipotesi di mancanza degli e/c iniziali), applicando altresì agli interessi creditori sui saldi attivi il tasso legale;

e) Dal 9 luglio 1992, quando è entrata in vigore la c.d. legge sulla trasparenza (L. 154/92), trasfusa nel decreto legislativo n 385 del 1993 (che non prevede alcuna forma di capitalizzazione), e da quel giorno sino al soddisfo, determini l’effettivo dare – avere aggiungendo al capitale interessi al saggio convenzionale (ovvero il più favorevole all’utente tra quello contrattuale e quello degli e/c) ovvero ( quando non vi è pattuizione) gli interessi previsti dall’art 117, settimo comma, del suddetto decreto legislativo senza alcuna capitalizzazione e senza commissioni di massimo scoperto e valute fittizie. Il ricalcolo degli interessi a norma dell’art 117 del decreto legislativo n 385 del 1993 deve essere effettuato applicando il tasso massimo ivi previsto ai saldi creditori (debitori per la banca) e quello minimo ai saldi debitori (creditori per la banca) e ciò in quanto la norma costituisce una sanzione per gli istituti di credito, partendo da un saldo iniziale pari a “0” (nell’ipotesi di mancanza degli e/c iniziali).

f) il regime di capitalizzazione degli interessi dovrà essere, per l’intero periodo: semplice per gli interessi dovuti dal correntista all’istituto di credito, annuale per gli interessi che il correntista riceve dall’istituto di credito.

g) laddove vi sia incompletezza della documentazione per periodi intermedi, provvederà il c.t.u. ad effettuare un raccordo dei saldi (utilizzando come data valuta quella media tra i periodi mancanti).

d) calcoli il tasso d’interesse effettivo globale medio annuo con riferimento ai periodi trimestrali di rilevazione del c.d. tasso – soglia secondo i criteri dettati esclusivamente dalla Legge 108/1996 ed art 6444 c.p. (secondo i criteri tracciati da Corte di Cassazione Sez. II Penale, 26 marzo 2010, n. 12028 – Pres. Carmenini – Est. Gallo; nonché da Cassazione penale, 19 dicembre 2011 - Pres. Esposito - Est. Chindemi);

h) nelle sole ipotesi in cui la banca abbia tempestivamente eccepito la prescrizione(nei perentori termini di cui agli artt. 166 e 167 c.p.c.), abbia elencato e documentato(con la produzione del contratto di apercredito e degli estratti conto) l’esistenza di operazioni solutorie, accerti il CTU, sulla base dei risultati raggiunti nei quesiti precedenti (quindi, tenendo conto dei saldi ricalcolati depurati dalle illegittime competenze bancarie e non degli erronei saldi evidenziati nei vari conti correnti bancari), se oltre 10 anni prima della domanda giudiziale o della preventiva richiesta stragiudiziale di restituzione delle somme indebitamente percepite, vi siano addebiti di interessi e/o o altre competenze non dovute, quando il conto non era affidato o presentava uno sporadico saldo negativo, oppure quando il correntista era sconfinato dall’affidamento; solo nel caso in cui rilevi tali sconfinamenti, verifichi il CTU, se nel corso del rapporto si siano verificati dei versamenti (che abbiano avuto lo scopo e l’effetto di uno spostamento patrimoniale in favore della banca) che abbiano superato il limite dell’affidamento (contrattuale o comunque desumibile a mezzo dell’analisi dei tassi e/o numeri debitori entro e/o fuori fido annotati negli e/c bancari o negli scalari, o rilevabile dall’analisi delle categorie comunicate alla Centrale dei rischi, o dai contratti di fideiussione, ecc.), oppure, in caso di mancato affidamento (neppure di fatto, cfr. Cass. sez. I, 17 febbraio 2011, n. 3903), per tornare al saldo zero. Nell’ipotesi in cui si sia verificato detto superamento il CTU consideri “pagate” con i successivi versamenti del correntista il capitale e le competenze legittime in esubero dell’affidamento solo “per la parte relativa alla differenza fra lo scoperto ed il limite del fido” (Cass. sent. n. 10869/94) imputando dette somme proporzionalmente al capitale ed alle competenze maturate solo ed esclusivamente nel trimestre di riferimento, senza l’applicazione filobancaria dell’art. 1194 c.c[6], essendosi nel caso di specie manifestato per facta concludentia il consenso del creditore che ha sistematicamente capitalizzato le competenze ogni fine trimestre.

Quando finiremo di leggere provvedimenti superficiali? Penso mai: il potere bancario involge i nostri tempi ed è inutile pensare che la saggezza di alcuni Magistrati (Cons. Renato Rordorf) al culmine del loro sapere possa insegnare a coloro che si rifiutano di sentire o che non ne abbiano le capacità.

(Altalex, 17 luglio 2013. Articolo di Antonio Tanza)

Per approfondimenti:

_______________

[1] Non sono da considerarsi senza fido quelle assistite dal c.d. fido di fatto ovvero quelle effettuate con un fido desumibile per facta concludentia: Secondo una giurisprudenza consolidata la pattuizione relativa alla trasformazione del conto in apertura di credito può realizzarsi anche per facta concludentia (tra le altre, Cass. n. 14470/2005); nella specie - chiarisce il giudice a quo - già una clausola del contratto di conto corrente prevedeva le condizioni per l’apertura di credito e la concessione di continui sconfinamenti, protratti costantemente nel tempo, ha dato luogo al perfezionarsi di tale apertura. Cassazione civile, sez. I, 17 febbraio 2011, n. 3903 (cfr. ex multis Cassazione civile, sez. I, 17 febbraio 2011, n. 3903; Cassazione civile, sez. I, n. 14470 del 09 luglio 2005; Cassazione civile, sez. I, 08/01/2003, n. 58; Cassazione civile, sez. I, 08/01/2003, n. 58; Cassazione civile, sez. I, 23/04/1996, n. 3842).

[2] Cfr. ex multis Cass. Civ. n. 19762 del 17 luglio 2008; Cass. Civ. n. 28516 del 1° dicembre 2008; Appello L’Aquila, Cons. E. Buzzelli, n. 615 del 09 settembre 2010 che evidenziano come l’attore in accertamento negativo (il correntista) non fa valere il diritto oggetto dell’accertamento giudiziale ma, al contrario, ne postula l’inesistenza, ed è invece il convenuto (la banca) che virtualmente o concretamente fa valere tale diritto, essendo la parte controinteressata rispetto all’azione di accertamento negativo.

[3] In giurisprudenza ex multis: Inoltre, essendo pacifico che il conto corrente per cui è causa era assistito da apertura di credito, la Banca avrebbe dovuto, quanto meno, allegare quali versamenti abbiano avuto natura ripristinatoria della provvista e quali abbiano avuto funzione solutoria; infatti, l’assolvimento di tale onere appariva necessario per individuare a quale rimessa di c/c poteva essere ancorato il termine di decorrenza della prescrizione secondo il principio più volte ritenuto dalla S.C. e definitivamente assunto nella sentenza S.U. 2 dicembre 2010 n. 24418. Appello di Milano, Cons. Maria Rosaria Sodano, Sent. 2195 del 18 maggio 2012.

[4] Un corretto quesito dovrebbe prevedere: “in caso di eccepita prescrizione, previa epurazione degli estratti conto da clausole e addebiti illegittimi, verifichi il C.T.U. se, oltre 10 anni prima della domanda giudiziale o della preventiva richiesta stragiudiziale di restituzione delle somme indebitamente percepite, vi siano addebiti di interessi o comunque di somme non dovuti, quando il conto non era affidato e presentava comunque uno sporadico saldo negativo, oppure quando il correntista era sconfinato dall’affidamento; nel caso in cui rilevi tale sconfinamento sul conto “ricalcolato”, quantifichi il C.T.U. l’importo di tali addebiti, per l’intero o fino all’importo necessario per eliminare lo sconfinamento dal fido oppure, in caso di mancato affidamento (neppure di fatto), per tornare al saldo zero, imputando dette somme proporzionalmente al capitale ed alle competenze maturate nel trimestre di riferimento, senza l’applicazione filobancaria dell’art. 1194 c.c, essendosi nel caso di specie manifestato per facta concludentia il consenso del creditore”.

[5] In verità se gli sconfinamenti si protraggono costantemente nel tempo il conto corrente di corrispondenza si trasforma, per facta concludentia, in un’apercredito utilizzata con scoperto in conto: cfr. ex multis Cassazione civile, sez. I, 17 febbraio 2011, n. 3903; Cassazione civile, sez. I, n. 14470 del 09 luglio 2005; Cassazione civile, sez. I, 08/01/2003, n. 58; Cassazione civile, sez. I, 08/01/2003, n. 58; Cassazione civile, sez. I, 23/04/1996, n. 3842.

[6] “Destituito di ogni fondamento è, altresì, il richiamo all’articolo 1194 del c.c., in quanto nel caso specifico del conto corrente non è il debitore (cioè il correntista) che imputa il pagamento all’una piuttosto che all’altra voce, limitandosi egli a versare somme per la registrazione sul conto corrente”.Appello Milano, Cons. Carla Romana RAINERI, Sent. 20 febbraio 2013.

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