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Chiusura anticipata del processo esecutivo













La sezione sesta - terza civile, con l’ordinanza 28 marzo 2018, n. 7754 (pres. Frasca, rel. Scoditti), si pronuncia per la prima volta sulla questione, confermando il prevalente orientamento in materia della giurisprudenza di merito.

La vicenda ha origine da una pronuncia di rigetto dell’istanza di chiusura anticipata del processo esecutivo per infruttuosità della stessa, in quanto il prezzo base di vendita era diminuito sino al 30% dell’originario a seguito di numerose aste al ribasso (il g.e. non aveva ritenuto la procedura antieconomica in considerazione del valore residuo dei beni vincolati).

Con due motivi di ricorso veniva adita la S.C. ai sensi dell’art. 111, comma sette, Cost. perché venisse censurato il provvedimento impugnato per violazione e falsa applicazione dell’art. 164 bis disp. att. c.p.c., nonché degli artt. 132 c.p.c., 118 disp. att. c.p.c., 111, comma 6, Cost. e 360, comma 1 n. 5, c.p.c.

La questione, secondo la Corte nomofilattica, va risolta sulla premessa della peculiarità della fattispecie, introdotta dall’art. 19, co. 2, lett. b), d.l. 12 settembre 2014, n. 132 (conv. con modific. in l. 10 novembre 2014, n. 162).

L’articolo 164 bis, inserito nelle disposizioni di attuazione del codice di rito, stabilisce che quando risulta che non è più possibile un ragionevole soddisfacimento delle pretese dei creditori, anche tenuto conto dei costi necessari per la prosecuzione della procedura, delle probabilità di liquidazione del bene e del presumibile valore di realizzo, è disposta la chiusura anticipata del processo esecutivo.

La norma, applicabile anche ai procedimenti pendenti all’entrata in vigore, consente al giudice dell’esecuzione di disporre la chiusura anticipata per infruttuosità della procedura esecutiva, indipendentemente dalla volontà del creditore.

Sino all’introduzione dell’art. 164 bis, non vi era - nell’ordinamento processuale civile - una norma generale che disciplinasse casi di impossibilità di liquidazione dei beni pignorati e delle conseguenze sulla vita delle relative procedure esecutive.

Nell’ambito dell’espropriazione mobiliare, l’art. 540 bis, c.p.c., introdotto dalla legge n. 69/2009, ha rappresentato un primo approccio: è prevista l’estinzione del procedimento esecutivo nel caso in cui le cose pignorate restino invendute al secondo o successivo esperimento ovvero qualora la somma assegnata (ai sensi degli artt. 510, 541 e 542 c.p.c.) non soddisfi integralmente le ragioni dei creditori e non sia stato richiesto o non sia possibile il pignoramento di altri beni.

Non va taciuto che la giurisprudenza di merito aveva sperimentato provvedimenti di “estinzione anticipata atipica” del processo esecutivo a tutela dei principi dell’economia processuale e della ragionevole durata del processo, a fronte di procedure esecutive non in grado di raggiungere il loro scopo.

Pertanto, alle cause tipiche di estinzione del processo esecutivo previste dagli artt. 629, 630, 631 e 631 bis c.p.c., tutte conseguenti all’inattività delle parti o alla volontà di por fine al processo esecutivo, la prassi aveva individuato casi di estinzione c.d. atipica, tutti caratterizzati dalla impossibilità di proseguire con successo la procedura esecutiva.

L’indicata prassi era, però, in contrasto con l’orientamento della Corte di cassazione, fermo nell’affermazione della tipicità e della tassatività delle cause di estinzione (era escluso che il giudice dell’esecuzione potesse, senza il consenso delle parti, estinguere l’esecuzione dopo plurimi esperimenti di vendita andati deserti). Vanno, comunque, segnalate delle aperture all’opportunità di fermare le procedure infruttuose ricorrendo all’improseguibilità del processo per inutilità o inesistenza sopravvenuta del suo oggetto.

Di certo la ratio dell’art. 164 bis è da individuare nella tutela dell’interesse pubblico alla ragionevole durata del processo esecutivo (art. 111, comma 2, Cost.) e di quello privato alla fruttuosità dell’esecuzione per la soddisfazione del diritto del creditore.

La norma, quindi, (in sintonia con i numerosi interventi legislativi degli ultimi anni) conferisce nuova e maggiore affermazione del principio della ragionevole durata sugli altri principi che informano il processo esecutivo (adeguatezza allo scopo, proporzionalità ed economicità dell’esecuzione, par condicio creditorum, tutela del debitore per non subire un’ingiusta esecuzione).

Con l’introduzione dell’art. 164 bis possono - a prescindere dall’opinione del creditore – essere chiuse anticipatamente le procedure “inutilmente” pendenti (perché antieconomiche), evitando che proseguano esecuzioni che non siano in grado di recare vantaggi al creditore in quanto generatori di costi processuali più elevati del concreto valore di realizzo degli asset pignorati».

La norma (che trova richiami anche nelle procedure concorsuali) fornisce uno strumento, fatto di “prassi virtuose”, ed affida al giudice dell’esecuzione la valutazione circa l’infruttuosità della procedura e la convenienza a proseguirla: il termine, presente solo nella rubrica, richiede al giudice una valutazione di tutti gli elementi del caso concreto.

Tale valutazione è, naturalmente, discrezionale: il giudice dovrà prendere in esame tutti gli elementi a sua disposizione, dalla stima del valore del bene, al valore di mercato, agli esiti delle vendite tentate, ai successivi ribassi del prezzo.

Nelle prime decisioni pubblicate si fa riferimento ad un’impossibilità oggettiva, estranea alla condotta delle parti, di proseguire materialmente il processo esecutivo. Ma, nell’applicazione dell’art. 164 bis non può assumere rilievo decisivo il solo numero degli esprimenti di vendita falliti, sebbene costituisca un chiaro indizio del probabile insuccesso della procedura.

Sul punto, infatti, sia la dottrina che la giurisprudenza hanno escluso la chiusura anticipata della procedura esecutiva a seguito dell’esito negativo di più vendite, ovvero qualora i ribassi futuri del prezzo siano ancora tali da consentire, con valutazione prognostica, un ragionevole soddisfacimento delle ragioni dei creditori.

Pur nel rispetto dell’orientamento della S.C., la valutazione del giudice non potrà, comunque, prescindere da un giudizio sui risultati dell’attività di liquidazione e sul significato da attribuire al ripetersi di esiti negativi delle vendite e, pertanto, la chiusura della procedura potrà essere dichiarata dal giudice dell’esecuzione solo dopo aver escluso di adottare – perché ritenute inopportune o non convenienti – le altre misure per la liquidazione del bene, diverse dalla vendita, quali l’assegnazione e l’amministrazione giudiziaria.

Il giudice, inoltre, dovrà effettuare una comparazione dei crediti con i costi da sostenere, in una valutazione “ora per allora”: la prosecuzione del processo sarà conveniente se consentirà il recupero dei costi ed il pagamento, anche parziale, ma non simbolico, dei crediti, tenuto conto di quelli assistiti da garanzia reale sul bene pignorato.

Ma la procedura non può proseguire solo per il recupero dei costi sostenuti.

Sul punto, in dottrina, vi è chi ritiene che non si debba chiudere anticipatamente la procedura, se le somme che ragionevolmente potrebbero ricavarsi dalla vendita, siano sufficienti per la copertura dei costi sostenuti dai creditori (perché altrimenti si lederebbero i principi di cui agli artt. 2740 cod. civ. e 24 Cost.) e chi, diversamente, esclude l’estinzione anticipata solo ove si prospetti il recupero, oltre che delle spese, anche di uno o più crediti.

In concreto, nella varietà dei casi della pratica, il giudice dovrebbe considerare congiuntamente sia il riparto atteso per ogni creditore, che la corrispondente percentuale, così da decidere se la prosecuzione della procedura permetta o meno il recupero dei costi ed il pagamento, parziale, ma non simbolico, dei crediti.

In questa direzione si è mossa la giurisprudenza di merito che, in considerazione della ratio della norma e del suo principale fine (evitare che delle procedure esecutive, inidonee nei fatti a consentire il soddisfacimento degli interessi dei creditori, proseguano per un tempo indeterminato e con un dispendio inutile di risorse), sottolinea che l’estinzione anticipata non può essere considerata come un mezzo per contemperare il soddisfacimento dei crediti e l'interesse del debitore a non veder il proprio bene svenduto.

L'esecutato ha un interesse solo indiretto alla chiusura anticipata per infruttuosità: il risultato di sottrarre i beni al procedere dell'esecuzione, infatti, non è oggetto di tutela diretta da parte della normativa primaria.

L’art. 164-bis non disciplina il procedimento e la forma del provvedimento di chiusura anticipata.

La previsione che la chiusura della procedura sia disposta dal giudice, insieme alla mancata previsione della necessità un’istanza di parte, autorizzano una pronuncia d’ufficio da parte del giudice, senza escludere l’obbligo di ascoltare le parti (e del debitore), fissando un’apposita udienza, a tutela del principio del contraddittorio.

Quanto alla forma del provvedimento, nascendo dal contraddittorio ed essendo la forma tipica dei provvedimenti del giudice dell’esecuzione ex art. 487 c.p.c., non può che essere l’ordinanza sufficientemente motivata.

Nel silenzio della norma, si è agitato tra i commentatori il dibattito sul regime di impugnabilità del provvedimento, tanto di rigetto quanto di accoglimento, con il quale il giudice dell’esecuzione decide sull'istanza di chiusura anticipata del processo esecutivo per infruttuosità dell'espropriazione forzata.

Considerato che la giurisprudenza di legittimità, in tema di impugnazione dei provvedimenti di estinzione del processo esecutivo, è univoca nel ritenere la reclamabilità ai sensi dell’art. 630 c.p.c. dell’ordinanza solo qualora venga in questione l'estinzione per una delle cause tipiche previste dalla legge (rinuncia agli atti ex art. 629 c.p.c., inattività delle parti ex art. 630 c.p.c., mancata comparizione delle parti a due udienze successive ex art. 631 c.p.c. e le altre cause espressamente previste dalla legge); nei casi di estinzione per cause diverse da quelle tipiche (avendo carattere atipico, natura sostanziale di atto del processo esecutivo e consistendo in una pronuncia di mera improseguibilità) il rimedio impugnatorio ammesso è l'opposizione agli atti esecutivi ai sensi dell'art. 617 c.p.c.

La questione di fondo per l'individuazione del mezzo di impugnazione ammesso dalla legge per i provvedimenti pronunciati ai sensi dell'art. 164 bis disp. att. c.p.c. parte, quindi, dal ritenere la fattispecie come una nuova figura di estinzione tipica oppure un’ipotesi di improcedibilità del processo esecutivo.

Muovendo da considerazioni di tipo sistematico generale, deve evidenziarsi che la finalità dell'intervento legislativo e il suo carattere almeno tendenzialmente organico di revisione della disciplina del processo esecutivo inducono a ritenere che, ove laddove il legislatore avesse inteso introdurre una nuova ipotesi tipica di estinzione del processo esecutivo, non l’avrebbe collocata al di fuori dello specifico contesto codicistico di riferimento.

Inoltre, dato il principio di tassatività delle ipotesi di estinzione del processo esecutivo, il comune denominatore delle figure tipiche dell’estinzione disciplinate dal codice di rito è costituito da un fatto “imputabile” ad una delle parti, ovvero dal sopravvenuto difetto di interesse all’esecuzione forzata o, ancora, dall’inadempimento di un onere di impulso o di presenza in udienza.

La ratio che presiede all’ipotesi di chiusura anticipata ex art. 164 bis disp. att. c.p.c. è evidentemente diversa: l’esito anomalo o non fisiologico del processo esecutivo dipende da un’impossibilità oggettiva (indipendente dal comportamento delle parti) di proseguirlo, che viene valutata discrezionalmente dal giudice.

Non va dimenticato, infine, il dato letterale della norma che utilizza l’espressione di “chiusura anticipata del processo esecutivo”, assolutamente differente da quella che contrassegna l’istituto dell’estinzione ex artt. 629 ss. c.p.c. (mentre sembra identica alla formula contenuta nell’art. 187 bis disp. att. c.p.c.).

Deve, quindi, ritenersi che il provvedimento del giudice dell’esecuzione che decide sull’istanza di chiusura anticipata del processo esecutivo, proposta ai sensi dell’art. 164 bis c.p.c., può essere impugnato nelle forme dell’opposizione agli atti esecutivi ex art. 617 c.p.c. e non in quelle del reclamo al collegio ex art. 630, ult. co., c.p.c.

Ne consegue che, diversamente dal procedimento di reclamo che si conclude con una sentenza appellabile ai sensi dell’art. 130, disp. att. c.p.c., il giudizio di opposizione agli atti termina con una sentenza inappellabile ex art. 618, ult. co., c.p.c. e, comunque, non ricorribile per cassazione ai sensi dell’art.111 Cost.

La pronuncia in esame, pertanto, pone il punto sulla questione affermando quello che era già orientamento consolidato nella giurisprudenza di merito.

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