google-site-verification=fW9ic3r_naxgruDksv5S6Ug4tN6LSm6wUy51njmsY0M Conto Corrente: l’eccezione di prescrizione opposta al correntista implica l’accertamento della sua
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Conto Corrente: l’eccezione di prescrizione opposta al correntista implica l’accertamento della sua


Nel caso in cui nell’ambito di un giudizio volto alla ripetizione dell’indebito la banca opponga al correntista l’eccezione di prescrizione, spetta al Giudicante esaminare tale profilo, compiendo un accertamento sulla decorrenza della prescrizione basata sulla distinzione tra rimesse solutorie e ripristinatorie della provvista. È quanto ha ribadito la Corte di Cassazione con ordinanza n. 14958/2020.

di Filomena Cosentino - avvocato delegato Adusbef

Orientamenti giurisprudenzialiConformi

Cass. civ. sez. Unite n. 15895/2019 Cass. civ. n. 2660/2019 Cass. civ. n. 27704/2018 Cass. civ. n. 18144/2018DifformiNon si rinvengono precedenti Il caso A seguito di chiusura del proprio conto corrente, la società Alfa aveva agito contro la banca Beta per la ripetizione delle somme indebitamente percepite dall’istituto di credito in corso di rapporto. Le ragioni della società, suffragate da una perizia di parte che evidenziava l’applicazione di condizioni illegittime e non pattuite al conto corrente, erano state accolte dal Tribunale e poi confermate dalla Corte d’Appello di Catania, con il riconoscimento in favore di Alfa di una somma di poco inferiore a € 500.000,00. L’istituto di credito aveva proposto ricorso per la cassazione della sentenza di secondo grado della Corte d’Appello etnea, rea di aver respinto il gravame per aver ritenuto irrilevante la distinzione tra rimesse solutorie e ripristinatorie con riferimento alla (diversa) decorrenza della prescrizione eccepita dalla banca, dichiarando il motivo inammissibile perché la questione non sarebbe stata oggetto del primo grado di giudizio. La Suprema Corte, con ordinanza n. 14958/2020, ribadisce come, una volta che l’istituto di credito abbia eccepito la prescrizione nell’ambito di un giudizio di ripetizione di indebito incardinato dal correntista, spetti al Giudice di merito l’accertamento sul compimento della prescrizione delle singole rimesse solutorie. La pronuncia: sul decorso della prescrizione delle rimesse bancarie Il tema centrale oggetto del ricorso proposto dalla banca verte sulla differenza tra i versamenti solutori e quelli ripristinatori della provvista del correntista ai fini della decorrenza del termine di prescrizione per la ripetizione dell’indebito, questione puntualmente affrontata con la pronuncia Cass. SS. UU. n. 24418/2010. Ciò che lamenta l’istituto è il fatto che la Corte d’Appello sia caduta nell’errore di dichiarare inammissibile il motivo di gravame che censurava la sentenza di primo grado poiché si sarebbe trattato di questione “nuova” proposta in appello per la prima volta. Secondo la ricorrente la Corte etnea avrebbe dovuto applicare il principio enunciato con la sentenza citata e perciò valutare quali somme fossero concretamente ripetibili con riferimento alle rimesse solutorie, in considerazione del fatto che la banca aveva validamente opposto l’eccezione di prescrizione. In particolare il conto corrente, in questo caso, risultava chiuso il 14 marzo 1996 e la correntista aveva messo in mora la banca il 24 marzo 2006 per poi citarla in giudizio; perciò i Giudici di secondo grado avevano ritenuto che, stante il disposto dell’art. 1855 c.c. – secondo cui il recesso si consolida dopo 15 giorni dalla sua manifestazione – il decorso della prescrizione fosse stato così validamente interrotto. Tuttavia, evidenzia la banca, il versamento solutorio per estinguere il debito della società, cui bisognava avere riguardo ai fini della prescrizione, era stato effettuato alla data del 14 marzo. La Suprema Corte accoglie la doglianza dell’istituto di credito sul punto, censurando la pronuncia di secondo grado nella parte in cui il Collegio aveva dichiarato inammissibile l’eccezione di prescrizione delle rimesse bancarie perché la differenza tra versamenti solutori o ripristinatori era una “questione” che rivestiva il carattere della novità rispetto alla vicenda dedotta in primo grado. È d’obbligo, a questo punto, il richiamo che effettua la Suprema Corte a quanto enunciato con la pronuncia a Sezioni Unite del 2010. In quella sede il Massimo Consesso ha sancito la seguente differenziazione: i versamenti effettuati sul conto dal correntista che producano uno spostamento patrimoniale in favore della banca sono equiparabili ai pagamenti, e perciò suscettibili di ripetizione ex art. 2033 c.c.; è quanto accade nel caso di versamenti che eccedano l’affidamento sul conto corrente o quando non sussista alcuna apertura di credito sul conto in passivo. Diverso è il caso dei versamenti infra fido, che fungono da mero ripristino della provvista a disposizione del cliente, per cui potranno essere trattati alla stregua di pagamenti solo a seguito dell’estinzione del saldo di chiusura del conto (momento in cui gli interessi non dovuti vengono registrati). Chiarita la differenza, diverso sarà anche il decorso della prescrizione: mentre per i versamenti solutori deve aversi riguardo alla data delle singole rimesse, per i versamenti meramente ripristinatori della provvista il termine iniziale sarà proprio la data di estinzione del saldo di chiusura del conto. Rilevano gli Ermellini come nel caso di specie la banca avesse opposto l’eccezione di prescrizione al correntista, il che imponeva al Giudice del merito di analizzare tale profilo. Del resto, è insegnamento della medesima Suprema Corte, tale eccezione è validamente opposta con la mera affermazione dell’inerzia del titolare del diritto unita alla dichiarazione di volerne profittare (Cass. civ. SS. UU. 15895/2019). In altre parole, la Corte d’Appello di Catania avrebbe dovuto verificare il prodursi o meno della prescrizione maturata da ogni singolo versamento solutorio nell’ambito del rapporto di conto corrente dedotto in giudizio, escludendo che la prescrizione si fosse prodotta con riferimento alle rimesse ripristinatorie, e considerando, nondimeno, i versamenti eseguiti per l’estinzione del saldo di chiusura del conto a seguito della cessazione dell’affidamento. Per tali ragioni la Suprema Corte accoglie il motivo di ricorso e cassa la sentenza con rinvio alla Corte d’Appello di Catania in diversa composizione per una nuova statuizione.

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