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Anche il danno da accelerazione della malattia va risarcito

Costituisce illecito anche l’accelerazione della malattia

Anche per il bene salute, il nesso di causalità può esistere non solo in relazione al rapporto tra fatto ed evento dannoso, ma anche tra fatto ed accelerazione dell'evento. A confermarlo è la Corte di cassazione che, con sentenza n. 3136 del 7 febbraio 2017, si pronuncia in tema di risarcimento del danno in un caso che aveva visto coinvolto un paziente rimasto paralizzato ad entrambi gli arti inferiori per essere stato sottoposto a due interventi di erniectomia.

M.M., A.M.L., in proprio e nella qualità di genitore esercente la potestà sulla minore L.M., S.M. e A.M. convennero in giudizio innanzi al Tribunale di Palermo l'Azienda Ospedaliera chiedendo il risarcimento del danno per essere stato il primo sottoposto a due interventi di erniectomia ed essere successivamente rimasto paralizzato ad entrambi gli arti inferiori. Si costituì la parte convenuta chiedendo il rigetto della domanda.

Il Tribunale adito, previa CTU, accolse la domanda, condannando la convenuta al pagamento della somma di euro 578.080,63, oltre interessi, in favore del solo M.M., disattendendo le ulteriori domande attoree; osservò il giudice di prime cure che la scelta di operare esclusivamente una laminectomia posteriore aveva comportato un pericolo concreto di insulto ischemico e meccanico del midollo.

Avverso detta sentenza propose appello l'Azienda Ospedaliera. Si costituì la parte appellata chiedendo il rigetto dell'appello.

Con sentenza di data 10 febbraio 2014 la Corte d'appello di Palermo, previa nuova CTU, accolse l'appello, rigettando la domanda proposta dal M.

Osservò il giudice di appello, premesso che i consulenti tecnici avevano rilevato che il M. era stato informato ed aveva prestato il proprio consenso, che alla paralisi degli arti inferiori il M. appariva ineluttabilmente destinato, in mancanza d'intervento chirurgico, stante l'inarrestabile processo degenerativo del suo parenchima nervoso e che doveva escludersi una condotta colposa nell'operato dei medici; aggiunse che l'intervento di sola decompressione posteriore, effettuato secondo i principi di perizia, prudenza e diligenza, costituiva uno degli interventi meno pericolosi e che difettavano in materia precisi protocolli che indicassero condivisibili schemi di comportamento diagnostico e terapeutico predefiniti, essendo diagnosi e terapia affidate in larga parte alla sperimentazione ed alle teorie, il più delle volte contrastanti, praticate.

La Suprema Corte, in accoglimento del ricorso, ha affermato che il nesso di causalità può esistere non solo in relazione al rapporto tra fatto ed evento dannoso, ma anche tra fatto ed accelerazione dell'evento; sicché, per escludere il nesso di causalità, in relazione alla lesione del bene "vita", è necessario non solo che il fatto non abbia generato l'evento letale, ma anche che non l'abbia minimamente accelerato, costituendo pregiudizio anche la privazione del fattore "tempo".

Cassa la sentenza n. 189/2014 della CORTE D'APPELLO di PALERMO, depositata il 10/02/2014.

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