google-site-verification=fW9ic3r_naxgruDksv5S6Ug4tN6LSm6wUy51njmsY0M Non vi è tenutià del fatto per la violenza privata della perquisizione
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Non vi è tenuità del fatto per la violenza privata della perquisizione di una persona in un centro c

Niente esimente della tenuità del fatto per la violenza privata commessa dal vigilantes del centro commerciale che ha disposto la perquisizione personale di una donna all'interno della struttura imponendole di sollevare la maglietta e togliere i pantaloni. Lo ha precisato la Corte di Cassazione, quinta sezione penale, sentenza n. 12591/2017.


L'imputato era stato condannato per il reato di violenza privata (art. 610 c.p.), per avere, quale addetto alla vigilanza presso un centro commerciale, costretto una donna a subìre una perquisizione personale all'interno degli uffici del centro medesimo, facendole togliere i pantaloni e sollevare la maglietta.


Inutile per l'imputato contestare, in Cassazione, che l'esecuzione della perquisizione sia avvenuta da parte di una collaboratrice di sesso femminile, al fine disalvaguardare il pudore della persona offesa: per gli Ermellini, come d'altronde evidenziato dai giudici di merito, la perquisizione illegittima era stata disposta dal ricorrente, sulla cui individuazione non è stata sollevata alcuna contestazione; questi, a prescindere dal formale ruolo rivestito (essendo irrilevante che egli fosse un portiere o un addetto alla vigilanza), aveva il dominio finalistico dell'azione illecita, quindi il rispetto del pudore, dunque, non esclude l'arbitrarietà e l'illiceità penale del fatto.


Anche in relazione alla pretesa assenza di costrizione, che la difesa ritiene desumibile dal fatto che la donna fosse libera di muoversi durante il "controllo", i giudici di legittimità rammentano che, ai fini del delitto di violenza privata, non è richiesta una minaccia verbale o esplicita, essendo sufficiente un qualsiasi comportamento o atteggiamento, sia verso il soggetto passivo sia verso altri, idoneo ad incutere timore e a suscitare la preoccupazione di subire un danno ingiusto, così che, mediante tale intimidazione, il soggetto passivo sia indotto a fare, tollerare od omettere qualcosa.


Quindi, conclude la Corte, la sottoposizione a una perquisizione arbitraria e, per ciò, ingiustificata, di una persona, da parte di un soggetto privo di qualsiasi legittimazione, costituisce un fatto di violenza fisica che si esplica direttamente sulla vittima, avuto riguardo alle condizioni particolari e ambientali in cui la stessa venga a trovarsi e, quindi, si svolga il fatto, che siano idonee a eliminare e, comunque, a ridurre notevolmente nel soggetto passivo la capacità di determinarsi e di agire secondo la propria volontà.

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