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Amministratore di fatto: come si individua


Secondo la sentenza n. 8385/2017 della Corte di cassazione, la nozione di amministratore di fatto, introdotta dall'art. 2639 cod. civ., postula l'esercizio in modo continuativo e significativo dei poteri tipici inerenti alla qualifica od alla funzione, con la precisazione che significatività e continuità non comportano necessariamente l'esercizio di tutti i poteri propri dell'organo di gestione, ma richiedono l'esercizio di un'apprezzabile attività gestoria, svolta in modo non episodico o occasionale.


La Corte di cassazione, dopo aver evidenziato come la prova della posizione di amministratore di fatto si traduca necessariamente nell'accertamento di elementi sintomatici dell'inserimento organico del soggetto con funzioni direttive, individua tali elementi nella la gestione delle operazioni di cassa, l'effettuazione di pagamenti, la collaborazione nell'attività più propriamente contabile con gli uffici amministrativi della società, attraverso la redazione di appunti manoscritti, sulla cui scorta venivano redatte le c.d. prime note o registrate le fatture, la determinazione del compenso da attribuire all’amministratore.

Il fatto

In sede di indagini un soggetto veniva sottoposto agli arresti domiciliari per i delitti di bancarotta fraudolenta patrimoniale per distrazione e bancarotta fraudolenta documentale, nonché di bancarotta preferenziale, nella sua qualità di amministratore di fatto di una società fallita.

Avverso l’ordinanza cautelare era presentato ricorso per cassazione, lamentando che i giudici di merito avessero ritenuto il ricorrente amministratore di fatto della società fallita, laddove alla luce degli elementi raccolti nella fase investigativa non si poteva pervenire a tale conclusione, non avendo l’imputato svolto un'attività di tipo gestorio concretizzatasi nella direzione degli affari sociali, che, secondo la giurisprudenza delle sezioni civili della corte di cassazione, caratterizza la figura dell'amministratore di fatto, configurandosi, piuttosto, la condotta dell'indagato, per un verso, in termini di attività meramente esecutiva, per altro verso, come esercizio delle prerogative di socio nella nomina degli amministratori e nella determinazione del relativo compenso.

In secondo luogo, la ordinanza cautelare non avrebbe dimostrato l'esistenza di un collegamento tra i fatti di bancarotta per cui si procede e la condotta dell’indagato, avendo, in realtà, il giudice di merito ritenuto il ricorrente concorrere con gli amministratori di diritto della società unicamente sulla base della sua (erroneamente) ritenuta qualità di amministratore di fatto.

La decisione

La Cassazione ha rigettato il ricorso.

Secondo la Cassazione, i giudici di merito avrebbero correttamente argomentato in ordine alla sussistenza in capo all’indagato della qualifica di amministratore di fatto, sostenendo che questi, nonostante le precedenti dimissioni dalla carica di amministratore, avesse continuato a svolgere attività operative all'interno della fallita, tra cui spiccano per assoluto rilievo, tra le altre, la gestione delle operazioni di cassa, l'effettuazione di pagamenti, la collaborazione nell'attività più propriamente contabile con gli uffici amministrativi della società, attraverso la redazione di appunti manoscritti, sulla cui scorta venivano redatte le c.d. prime note o registrate le fatture, la determinazione del compenso da attribuire all’amministratore.

Tali elementi, secondo la Cassazione, sono assolutamente significative per riconoscere la posizione di amministratore di fatto in capo ad un soggetto conformemente all'orientamento dominante affermatosi, al riguardo, nella giurisprudenza di legittimità, secondo cui la nozione di amministratore di fatto, introdotta dall'art. 2639 c.c., postula l'esercizio in modo continuativo e significativo dei poteri tipici inerenti alla qualifica od alla funzione, con la precisazione che significatività e continuità non comportano necessariamente l'esercizio di tutti i poteri propri dell'organo di gestione, ma richiedono l'esercizio di un'apprezzabile attività gestoria, svolta in modo non episodico o occasionale. Ne consegue che la prova della posizione di amministratore di fatto si traduce nell'accertamento di elementi sintomatici dell'inserimento organico del soggetto con funzioni direttive - in qualsiasi fase della sequenza organizzativa, produttiva o commerciale dell'attività della società, quali sono i rapporti con i dipendenti, i fornitori o i clienti ovvero in qualunque settore gestionale di detta attività, sia esso aziendale, produttivo, amministrativo, contrattuale o disciplinare (Cass. Pen., sez. V, 20 giugno 2013, n. 35346).

La Cassazione ritiene condivisibile poi la conclusione formulata in sede di merito con riferimento alla qualità di socio unico della fallita rivestita dall’indagato, sostenendo che tale posizione gli consentiva di porre in essere, senza fare ricorso al metodo assembleare, ineludibile anche nelle società unipersonali per la formazione e l'esteriorizzazione della volontà sociale, in ragione delle esigenze di trasparenza e di tutela dei terzi, le condotte tipiche di chi esercita il potere di gestione della società, in luogo dell'amministratore formale, senza tacere che, in tema di reati fallimentari, la mancata estensione della dichiarazione di fallimento al socio di certo non preclude, di per sé, la responsabilità del socio che si sia ingerito nelle gestione delle attività aziendali, svolgendo il ruolo di amministratore di fatto (Cass. Pen., sez. V, 28 settembre 2011, n. 44103).

Cassazione penale, sez. V, sentenza 21 febbraio 2017, n. 8385

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