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Centrale Rischi e Protesto illegittimi, la banca deve risarcire al correntista il danno non patrimon

Segnalazione alla Centrale dei rischi

Come noto, il debitore che si trovi in uno stato di sofferenza finanziaria e che non riesca a far fronte alle obbligazioni assunte nei confronti dell’intermediario bancario può venire da questi segnalato alla Centrale dei rischi della Banca d’Italia.

Una ingiusta o errata segnalazione può, come ben si comprende, pregiudicare in modo pesante lo stile di vita e le attività realizzatrici della vittima, atteso che l’inserimento nelle cosiddette “liste dei cattivi pagatori” proietta per tutti gli operatori economici che consultino detto elenco un elemento fortemente negativo in sede di decisione sulla concessione di affidamenti.

Contro l’errata o ingiusta segnalazione, purtroppo, il debitore non può far altro che adire l’autorità giudiziaria, anche in via di urgenza, per ottenere il riconoscimento del diritto alla eliminazione, da parte dell’ente in difetto, della segnalazione del credito tra quelli in sofferenza.

Non è infatti sufficiente per banche o enti finanziari eseguire la segnalazione ove si sia in presenza di un mero ritardo nei pagamenti, bensì è necessario un oggettivo stato di difficoltà del debitore nell’adempimento, vale a dire un vero e proprio stato di insolvenza, del quale la banca o l’ente, nell’effettuare la richiamata segnalazione, deve fornire adeguata motivazione a seguito di idonea, accurata ed evidenziata istruttoria, indicando con precisione gli elementi che lo inducono a far ritenere quel determinato soggetto “in stato di insolvenza” che non possono ridursi, in mancanza di altri indizi, al mero inadempimento e al ritardo dello stesso, relativo ad un solo rapporto.

La banca o l’ente che non si attengono a tali linee di condotta pongono in essere un comportamento contrario ai canoni di diligenza professionale, tale da potere integrare uno specifico titolo di responsabilità della banca verso i correntisti per colpa rilevante ai sensi dell’art. 2043 c.c. e, nonché per violazione dei canoni di correttezza e buona fede richiesti nello svolgimento di ogni rapporto obbligatorio secondo le norme generali ai sensi degli artt. 1715, 1374 e 1375 c.c.

Il pregiudizio che ne discende, per lo più, ha natura non patrimoniale, e la giurisprudenza non lesina i risarcimenti di rito: anche le sentenze del 2008 delle Sezioni Unite, del resto, riconoscono negli inadempimenti contrattuali di tale gravità la fonte di un diritto al ristoro dell’interesse leso.

Così, pensando a decisioni recenti, si può segnalare anzitutto una interessante pronuncia arbitrale, resa dall’Arbitrato Bancario Finanziario: trattasi di ABF, Collegio di Napoli, decisione 3 aprile 2013, n. 1773, che, nel valutare la sussistenza di un danno non patrimoniale derivato dalla segnalazione illegittima in Centrale Rischi, ha correttamente attribuito grande rilievo alla esiguità dell’importo non adempiuto nella fattispecie (appena 10 euro), in addizione con la circostanza che l’intermediario non avesse offerto al cliente la possibilità di porvi tempestivo rimedio.

Merita segnalazione anche la sentenza del Tribunale di Torino 22 dicembre 2011, con cui è stata accertata l’illegittimità della segnalazione del nominativo di una donna in una banca dati privata dei “cattivi pagatori”.

Anche in tale circostanza, l’indesiderato inserimento era avvenuto in seguito a modesti, ed oltretutto giustificati, ritardi nel pagamento di ratei di finanziamento.

Il giudice di merito, accertato anzitutto l’inadempimento della banca, che non aveva fornito riscontro alle comunicazioni dell’attrice, e ritenuto insussistente il preteso inadempimento della cliente, ha condannato l’istituto di credito al risarcimento del danno non patrimoniale patito dalla donna.

Il pregiudizio ora lamentato, consistito nella lesione dell’immagine di corretto pagatore, vulnerata dall’inserzione del nominativo nella citata banca dati, è stato in giudizio provato in via presuntiva e quantificato in via equitativa in misura pari a 5.000 euro.


Illegittima levata di protesto e iscrizione ipotecaria

Anche l’illegittima levata di protesto ovvero l’ingiustificato perdurare di una iscrizione ipotecaria rappresentano una grave forma di inadempimento contrattuale in grado di dar luogo ad un danno non patrimoniale, connesso al discredito del nome, dell’immagine e della reputazione personale della vittima. Presupposto per il ristoro di tale posta di danno, in ogni caso, la precisa allegazione, ad opera del danneggiato, di opportuni riscontri probatori atti a dimostrare la compromissione di interessi costituzionalmente tutelati.

Due interessanti pronunce, quanto ai casi di protesto illegittimo, sono rappresentate:

a) in giurisprudenza di merito, dalla pronuncia del Tribunale di Palermo, sentenza 27 marzo 2014, che si è occupato del caso occorso ad un cliente di una banca, costretto a ricorrere al procedimento d’urgenza ex art. 700 c.p.c. per far valere l’erronea levata di protesto, cagionato da un errore materiale riguardante i dati identificativi dell’impresa (nella fattispecie, la erronea indicazione di partita IVA della ricorrente, appartenente a soggetto terzo).

L’errore sui dati anagrafici del soggetto protestato imputabile alla banca è stato ritenuto sufficiente ad integrare il requisito del fumus boni iuris.

Quanto al periculum in mora, il giudice siciliano ha correttamente evidenziato come il permanere dell’erronea iscrizione costituisca certamente circostanza tale da essere suscettibile di creare un danno non patrimoniale all’immagine (sempre maggiore con il trascorrere del tempo), oltre che negative ripercussioni sull’attività commerciale derivanti da maggiori difficoltà nell’accesso al credito;

b) in giurisprudenza di legittimità, dalla sentenza della Corte di Cassazione, 10 novembre 2010, n. 22819, che, in una vicenda di protesto illegittimo, ha confermato la pronuncia di una Corte di appello, con la quale era stata valutata negativamente, per violazione del dovere di correttezza e buona fede, la condotta di una banca ed ha ritenuto provato, e dunque risarcibile, il danno esistenziale patito dal cliente e individuato nella lesione sugli assetti relazionali e sulla sfera reddituale dell’attore.

Gli ermellini hanno però corretto la pronuncia di merito sul rilievo che il danno esistenziale non può essere considerato in re ipsa, ma può essere provato, come è avvenuto nel caso di specie, mediante la prova presuntiva.

Quanto, invece, alla seconda ipotesi segnalata, va ricordata la recente pronunzia di altra corte di merito pugliese, Tribunale di Brindisi, Sezione Distaccata di Francavilla Fontana, sentenza 2 aprile 2011.

Il Tribunale aveva accertato, nel caso in esame, l’ingiustificato perdurare di una iscrizione ipotecaria su un bene immobile di proprietà di una coppia di coniugi per mancata presentazione, da parte di una banca, dell’atto di assenso alla cancellazione ai sensi dell’art. 2882 c.c., in violazione dell’art. 47 della Costituzione.

Gli attori avevano così incontrato notevoli difficoltà nell’accedere al sistema creditizio e, di conseguenza, nel soddisfare importanti esigenze della propria vita.

Il giudice di merito, evidenziato come la richiamata norma costituzionale miri ad incoraggiare e tutelare il risparmio popolare, ovvero quello non diretto ad un investimento economico, bensì all’acquisto di beni personali e strumentali alla vita quotidiana delle persone, consentendo di soddisfare esigenze primarie, ha ritenuto di risarcire il danno esistenziale, giudicato “non futile” e “non tollerabile” nel senso stabilito dalle note (e sopra già richiamate) Sentenze di San Martino depositate nel 2008 dalle Sezioni Unite, ed ha proceduto alla sua liquidazione in via equitativa, riconoscendo agli attori la somma di 6.000 euro, pari a mille euro per ogni anno di permanenza dell’iscrizione ipotecaria.

Esito del ricorso:

Accoglimento della domanda

Riferimenti normativi:

Art. 2 Cost.

Art. 3 Cost.

Art. 41 Cost.

Art. 47 Cost.

Art. 1176 c.c.

Art. 1218 c.c.

Art. 1226 c.c.

Art. 1375 c.c.

Art. 1710 c.c.

Art. 1715 c.c.

Art. 1768 c.c.

Art. 1856 c.c.

Art. 2043 c.c.

Art. 2050 c.c.

Art. 2697 c.c.

Art. 2882 c.c.

Art. 15, D.Lgs. n. 196/2003

Art. 31, D.Lgs. n. 196/2003

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