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Il procedimento della dichiarazione di fallimento

La legittimazione attiva in caso di credito contestato e gli indicatori dello stato di insolvenza

La sentenza in commento affronta profili vari del procedimento di dichiarazione di fallimento, affermando una

serie di principi, segnatamente: (a) in caso di contestazione ragionata del credito di chi agisce per la dichiarazione di fallimento, non per questo è inibita la declaratoria di fallimento, ma il giudice della fase prefallimentare deve procedere all’accertamento incidentale del credito, non assumendo rilevanza che il credito contestato non sia stato poi ammesso allo stato passivo del dichiarato fallimento; (b) per valutare l’esistenza dello stato di insolvenza occorre fare riferimento alla situazione economica e finanziaria alla data di pubblicazione della sentenza dichiarativa di fallimento; (c) per valutare l’esistenza dello stato di insolvenza non assume rilievo che l’attivo patrimoniale del debitore sia superiore al passivo patrimoniale, essendo per contro decisivo che il debitore non sia in grado di adempiere regolarmente le proprie obbligazioni con mezzi normali, fosse anche l’inadempimento riferito ad un solo debito; (d) ai fini del computo del limite minimo di fallibilità previsto dall’art. 15, comma 9, l.fall. deve aversi riguardo al complesso dei crediti scaduti e non pagati risultanti dall’istruttoria prefallimentare.


Il caso concreto e la soluzione

Una società appaltatrice di lavori è stata dichiarata fallita su iniziativa della committente che vantava un credito, contestato dall’assunto debitore, a titolo di risarcimento del danno subito per effetto dell’inadempimento del contratto d’appalto. Il Tribunale di Pescara: (i) ha ritenuto che il credito – risultante da un provvedimento cautelare di sequestro conservativo, confermato in sede di reclamo – fosse da considerarsi “esistente” ai fini della dichiarazione di fallimento; (ii) ha ritenuto sussistente lo stato di insolvenza sulla base dell’esame del bilancio della debitrice.

Quest’ultima reclamava la sentenza ai sensi dell’art. 18 l.fall.assumendo di non versare in stato di insolvenza (anche in ragione della rinuncia da parte dei soci al credito per il rimborso di finanziamenti erogati e del possesso di un indice di liquidità asseritamente positivo) ed in ogni caso per non essere superata la soglia minima dei crediti scaduti di cui all’art. 15, comma 9, l.fall.

La Corte d’Appello dell’Aquila ha respinto il reclamo e quindi ha confermato la sentenza di prime cure: (i) accertando incidentalmente - siccome contestata - l’esistenza del credito della ricorrente; (ii) affermando l’irrilevanza del fatto che nella successiva fase di verifica dello stato passivo quel credito non fosse stato ammesso, considerato peraltro che il creditore aveva poi proposto opposizione allo stato passivo; (iii) affermando che la situazione economica e finanziaria rilevante ai fini della verifica dello stato di insolvenza è quella sussistente al momento della sentenza dichiarativa di fallimento, e non invece quella riscontrata al momento della presentazione del ricorso o dello svolgimento della camera di consiglio, situazione economica e finanziaria che il curatore ha all’uopo “riclassificato” rispetto ai dati forniti dal debitore nella fase prefallimentare; (iv) chiarendo che il presupposto dello stato di insolvenza attiene all’impossibilità - a causa delle condizioni di liquidità e di accesso al credito - di adempiere con regolarità alle proprie obbligazioni con mezzi normali, e non invece alla situazione patrimoniale, che potrebbe in ipotesi anche essere attiva; (v) affermando che lo stato insolvenza può essere desunto anche dal mancato pagamento di un solo credito; (vi) precisando che ai fini del calcolo della soglia di cui all’art. 15, comma 9, l.fall. (ammontare di debiti scaduti e non pagati superiore a Euro 30.000) occorre fare riferimento agli atti dell’istruttoria prefallimentare, e non ai crediti quali accertati nella successiva fase di verifica dello stato passivo.

Impatti pratico-operativi

La sentenza che si annota offre l’occasione per affrontare una serie di questioni che sovente si profilano nel corso del procedimento per la dichiarazione di fallimento, con particolare riguardo ad almeno tre temi, rilevanti in quanto afferiscono ad alcuni dei presupposti necessari per addivenire alla sentenza dichiarativa: la legittimazione attiva ai sensi dell’art. 6, primo comma, l.fall del ricorrente quale titolare di un diritto di credito nei confronti del destinatario dell’istanza di fallimento; lo stato di insolvenza quale presupposto per la dichiarazione di fallimento ai sensi dell’art. 5, primo comma, l.fall.; la soglia minima di crediti scaduti e non pagati stabilita dall’art. 15, comma 9, l.fall.

La contestazione del credito vantato dal ricorrente non esclude la legittimazione attiva ai sensi dell’art. 6, primo comma, l.fall.

Anche in ragione della lunghezza dei tempi necessari per poter ottenere un provvedimento all’esito di un giudizio a cognizione piena, chi si assume creditore non di rado agisce direttamente per la dichiarazione di fallimento del proprio presunto debitore, iniziativa a fronte della quale può darsi l’ipotesi, tutt’altro che infrequente, che quest’ultimo contesti l’esistenza stessa del credito. Ne scaturisce, in tal caso, una questione pregiudiziale di rito, quella della legittimazione attiva, che l’art. 6, comma 1, l.fall., attribuisce, tra l’altro, al “creditore”: questione consistente nello stabilire se colui che si assume creditore (senza esserlo in forza di un provvedimento giudiziale definitivo) possa dirsi, a fronte della contestazione da parte del presunto debitore, legittimato a promuovere la sentenza dichiarativa di fallimento.

Negli ultimi anni, a partire da un arresto delle Sezioni Unite (1521/2013), si sta consolidando in seno alla Corte di Cassazione un orientamento secondo cui la legittimazione attiva del ricorrente non presuppone il definitivo accertamento in sede giudiziale dell’esistenza del credito, né l’esecutività del titolo, essendo per contro sufficiente che il giudice della fase prefallimentare accerti, in via sommaria ed incidentale, la sussistenza del credito (Cass. Civ. 11421/2014; Cass. Civ. 13474/2015; Cass. Civ. 5001/2016).

Nel caso di specie, la Corte abruzzese si è adeguata a tale orientamento ed ha ad esempio considerato rilevante, per poter dirsi accertato il credito, l’esistenza di provvedimenti cautelari a carico del presunto debitore, a loro volta scaturiti da accertamenti di natura sommaria (per inciso, in altro interessante precedente è stato riconosciuto titolo idoneo a supportare l’accertamento incidentale del credito contestato un’ordinanza, per sua natura provvisoria, ex art. 186 bis cpc: cfr. Cass. Civ. 576/2015). La fattispecie concreta, a ben guardare, presenta altresì la particolarità che il debitore dichiarato fallito in primo grado non aveva impugnato - in sede di reclamo - il capo della sentenza dichiarativa che affermava incidentalmente l’esistenza del credito, e la Corte d’Appello ne ha inferito che tale credito doveva dirsi, quantomeno ai fini del radicamento della legittimazione attiva, come senz’altro esistente. Così assumendosi la formazione di una sorta di giudicato interno sulla posizione creditoria, senza tuttavia che il dato potesse assumere rilievo ai fini dell’accertamento dello stesso credito nel corso del successivo procedimento di verifica dello stato passivo. Anzi, risulta dalla lettura della sentenza proprio il contrario, e cioè che il credito non era stato ammesso allo stato passivo e che il giudici aquilani non avevano ritenuto la circostanza rilevante ai fini della legittimazione attiva ex art. 6, l.fall.

In ogni caso, a prescindere dall’appena descritto profilo processuale, la Corte d’Appello ha comunque operato un autonomo scrutinio, risoltosi positivamente, circa la fondatezza delle pretese del committente nei confronti dell’appaltatore asseritamente inadempiente.

La tesi dell’inidoneità della contestazione del credito ad inibire, solo per questo, la dichiarazione di fallimento, appare condivisibile in quanto coerente, da un lato, con il tenore letterale dell’art. 6, ove l’attribuzione della legittimazione attiva al “creditore” non è accompagnata dalla specifica indicazione del titolo in base al quale un soggetto possa assumere la relativa iniziativa: dal che si può trarre la ragionevole conclusione che è il Tribunale fallimentare ad essere investito dell’accertamento, necessariamente incidentale, di una tale qualità in capo al ricorrente. Dall’altro, una tale tesi è ulteriormente suffragata dall’attribuzione degli strumenti istruttori, addirittura officiosi, di cui ora il Tribunale dispone in forza dell’art. 15, sesto comma, l.fall.. Si deve peraltro dare conto di alcuni precedenti di merito contrari, in base ai quali: sarebbe inibito al Tribunale fallimentare l’utilizzo di strumenti istruttori al fine dell’accertamento incidentale del credito del ricorrente: Tribunale Rimini, 11 marzo 2015); nella fase prefallimentare sarebbe inibita al Tribunale la valutazione delle fondatezza delle rispettive posizioni, posto che l’assenza di un set documentale e probatorio completo risolverebbe l’accertamento in un giudizio connotato da un eccessivo margine di discrezionalità (Tribunale Bergamo, 28.1.2011); in presenza di contestazione del credito il Tribunale non potrebbe dichiarare il fallimento (Tribunale di Monza, 4 febbraio 2013; Trib. Mantova 26 febbraio 2015). Precedenti che tuttavia, per quanto sopra rilevato, non appaiono in sintonia con la natura del procedimento per la dichiarazione di fallimento quale oggi disegnato dal legislatore.

Lo stato di insolvenza: riferimenti temporali e indici rivelatori

Come ben chiarito da una certa giurisprudenza di merito (Tribunale di Monza, 21 gennaio 2013), il tema della legittimazione attiva a ricorrere per la dichiarazione di fallimento, che abbiamo sin qui esaminato, è autonomo e distinto da quello dello stato di insolvenza, anch’esso presupposto necessario per la dichiarazione di fallimento, ma attinente al merito.

Sul punto, la sentenza che si annota ci sembra interessante per aver declinato con un certo ordine di trattazione l’espressione del legislatore per cui un tale stato sussiste allorquando il debitore “non è più in grado di soddisfare regolarmente le proprie obbligazioni”.

Intanto, viene ribadito che il momento rilevante ai fini della verifica di un tale presupposto, è quello della dichiarazione di fallimento, e non invece quelli, anteriori, del momento di presentazione del ricorso, di discussione dello stesso, o della camera di consiglio nella quale il collegio ha trattato detto ricorso. Soluzione che non solo appare in linea con alcuni precedenti di legittimità (Cass. Civ. 19790/2015) ma che risulta coerente con la natura officiosa del procedimento per la dichiarazione di fallimento, nel quale la verifica degli elementi costitutivi della fattispecie deve essere operata al momento della decisione (Cass. Civ. 11393/2004).

Quanto all’integrazione dei presupposti di cui all’appena citato art. 5, l.fall., viene riaffermata la rilevanza non tanto della dimensione patrimoniale (che anzi può vedere anche un attivo superiore al passivo, pur in presenza di insolvenza, “come tipicamente accade quando le poste attive siano difficilmente liquidabili nel breve periodo, a fronte di debiti pur di minore entità̀, ma immediatamente esigibili” – così, C. App. Torino 15.1.2013), quanto piuttosto di quella finanziaria, intesa come disponibilità di liquidità sufficiente per adempiere con regolarità e con mezzi normali alle proprie obbligazioni.

Ed emerge allora l’opportunità di dare rilievo, in sede di istruttoria prefallimentare, agli indicatori di bilancio quale l’indice di liquidità a breve (rapporto tra le attività liquidabili in un anno e le passività scadute o che scadono nello stesso anno, da ritenersi coerente con lo stato di insolvenza se inferiore a 1) o il metodo Z-Score di Alman (ideato nel 1968 e che individua formule e valori soglia superati i quali è da ritenersi verosimile la prospettiva fallimentare).

Peraltro, la Corte di Cassazione aveva già aperto un varco in tal senso affermando (vale la pena di trascrivere letteralmente il passaggio, stante il lucido inquadramento del tema qui trattato) che “lo stato di insolvenza richiesto ai fini della pronunzia dichiarativa del fallimento dell'imprenditore non è escluso dalla circostanza che l'attivo superi il passivo e che non esistano conclamati inadempimenti esteriormente apprezzabili. In particolare, il significato oggettivo dell’insolvenza, che è quello rilevante agli effetti dell'art. 5 legge fall., deriva da una valutazione circa le condizioni economiche necessarie (secondo un criterio di normalità) all'esercizio di attività economiche, si identifica con uno stato di impotenza funzionale non transitoria a soddisfare le obbligazioni inerenti all'impresa e si esprime, secondo una tipicità desumibile dai dati dell'esperienza economica, nell'incapacità di produrre beni con margine di redditività da destinare alla copertura delle esigenze di impresa (prima fra tutte l'estinzione dei debiti), nonché nell'impossibilità di ricorrere al credito a condizioni normali, senza rovinose decurtazioni del patrimonio” (Cass. Civ. 7252/2014).

Sotto questo profilo, atteso che l’insolvenza di cui all’art. 5 l.fall. si sostanzia in uno “status” patologico – funzionale dell’impresa, l’affermazione della sentenza in commento per cui l’inadempimento rilevante può essere riferito anche ad un solo credito appare del tutto condivisibile, oltre che supportata da precedenti di legittimità (Cass. Civ. 19790/2015, ma anche la citata e più risalente Cass. Civ. 11393/2004).

Modalità di calcolo della soglia minima di fallibilità di cui all’art. 15, comma 9, l.fall.

Ultimo punto trattato dalla sentenza che si annota, attiene alle modalità di calcolo dei 30.000 Euro di credito scaduti e non pagati, quale presupposto per la dichiarazione di fallimento. Si è posto in varie occasioni il dubbio se un tale ammontare di crediti abbia quale unico parametro di riferimento l’istruttoria prefallimentare, oppure se, ad esempio – come nel caso di specie – in sede di reclamo, possa assumere rilievo il dato emergente dello stato passivo medio tempore formatosi nel corso della procedura fallimentare.

La decisione che si annota si adegua prontamente ad un precedente di legittimità (Cass. Civ. 14727/2016) nel senso dell’irrilevanza degli esiti del successivo stato passivo. E questa appare la soluzione ermeneutica più ragionevole, intanto perché conforme al dato letterale, posto che l’art. 15, comma 9, l.fall. fa espresso riferimento, appunto, ai debiti “risultanti dall’istruttoria prefallimentare”. Ma in ogni caso, anche a voler considerare non dirimente il dato letterale, in quanto necessariamente riferito al procedimento per la dichiarazione di fallimento - nel quale lo stato passivo, come ovvio, non si è formato - l’irrilevanza degli esiti dalla fase di verifica appare coerente con il fatto che tali esiti possono risultare condizionati dal comportamento degli stessi creditori, ad esempio perché autonomamente decidano di non insinuare il proprio credito. Mentre l’interesse pubblico all’apertura della procedura concorsuale in presenza di una soglia minima di crediti scaduti si pone su un piano diverso dall’autonomia privata e come tale non può essere condizionato dalle iniziative dei creditori stessi.

Corte d’Appello L’Aquila, sentenza 12 aprile 2017

Lo Studio Legale Giovannoni e Bettella fornisce assistenza e consulenza in materia.

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