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Niente restituzione del termine se l'Avvocato ha depositato l'atto senza firma

Niente restituzione nel termine se l’avvocato ha depositato il ricorso non firmato

Non è invocabile l’ipotesi del caso fortuito o la forza maggiore nel caso in cui l’avvocato abbia depositato una copia non firmata del ricorso. L’inesatto o omesso adempimento della prestazione professionale non è idoneo, infatti, ai fini dell’applicazione dell’istituto della remissione in termini, giustificato solo da “forze impeditive non altrimenti vincibili” e applicabile solo sul presupposto che l’atto non sia stato compiuto.


ORIENTAMENTI GIURISPRUDENZIALI

Conformi

Cass. pen. Sez III 12/01/2012, n. 25162

Cass. pen. sez. I, 7/04/2010, n. 16763

Cass. pen., sez. VI, 8/11/2011, n. 41381

Cass. pen., sez. V, 3/02/2010, n. 10796

Difformi

Cass. pen. sez. VI, 10/09/2009 n 35149


Tizio proponeva personalmente istanza di rimessione in termini, ai fini dell’impugnazione in appello della sentenza. La Corte di Appello di Napoli rigettava l’istanza. Tizio proponeva ricorso per Cassazione, personalmente, adducendo che il proprio difensore aveva consegnato a lui una copia dell’atto di appello firmato, mentre la segretaria aveva depositato una copia non firmata. Sosteneva che nessun addebito potesse muoversi dunque al ricorrente, che confidava nell’operato del difensore, avendo ricevuto una copia firmata. La difesa del ricorrente invocava l’applicazione dell’istituto della remissione nei termini sostenendo che esso soccorre proprio nei casi in cui non è stato possibile per l’imputato difendersi, per cause a lui non imputabili.

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso presentato per manifesta infondatezza del motivo.

A legittimare la restituzione del termine, a norma dell’art. 175 c.p.p., sono il caso fortuito e la forza maggiore, che consistono in “forze impeditive non altrimenti vincibili”. La motivazione della Cassazione si estende fino alla considerazione della condotta – oltre che dell’avvocato – anche del suo assistito, che ha l’onere di vigilare sull’esatta osservanza dell’incarico conferito all’avvocato, laddove il controllo sull’operato defensionale non sia impedito al comune cittadino da un complesso quadro normativo.

Il cliente, avendo ricevuto una copia firmata, seppure informale, non poteva che fare affidamento sul fatto che anche quella depositata fosse completa della firma del difensore. Ma la giurisprudenza di legittimità descrive il caso fortuito come “ogni evento non evitabile con la normale diligenza e non imputabile al soggetto a titolo di colpa o dolo”. Se è vero che l’imputato non aveva ragione per rappresentarsi l’imperizia del proprio legale, l’orientamento maggioritario della Suprema Corte sostiene che il mancato o inesatto adempimento da parte del difensore nella proposizione dell’impugnazione – a qualsiasi causa ascrivibile – non è idoneo a realizzare le ipotesi di caso fortuito o forza maggiore.

Secondo la Corte, il mancato adempimento da parte del difensore sarebbe stato facilmente superabile qualora egli avesse adottato i criteri della normale diligenza ed attenzione. In tal caso appare dunque esclusa l’ipotesi del caso fortuito perché questo consiste in un avvenimento del tutto imprevedibile ed eccezionale che si inserisce d’improvviso nell’azione del soggetto: tale non appare la consegna da parte del difensore alla segretaria di copie non firmate; né è invocabile nemmeno la forza maggiore (vis maior cui resisti non potest), che consiste in una forza esterna a cui non ci si può opporre, tale non essendo l’ipotesi di una consegna cosciente e volontaria di copie non firmate da parte del difensore alla segretaria.

Per meglio comprendere la ricostruzione dei Giudici della nomofilachia, occorre evidenziare che il fine tutelato dalla norma ripone nella garanzia del diritto di difesa riconosciuto ex art. 24 Cost. e trova il suo corrispondente nell’art. 6 par. 3 lett. c) C.E.D.U.: l’imputato deve essere messo nella condizione di essere assistito da un difensore di sua scelta, diversamente la “difesa concreta ed effettiva” non si potrebbe considerare raggiunta. La forza maggiore che deve raggiungere il difensore in modo tale da impedirgli di compiere l’attività deve concretizzarsi in un evento così grave da impedirgli di svolgere l’attività defensionale, occorrendo altresì la prova che non vi sia un comportamento intenzionale del difensore. In quest’ottica si considera caso di forza maggiore che legittima la rimessione in termini, ad esempio, una malattia invalidante (in questo senso Cass. pen. sez III 12/01/2012, n. 25162; Cass. pen. sez. I, 7/04/2010, n. 16763); ovvero il caso di morte (Cass. pen., sez. VI, 8/11/2011, n. 41381); ovvero l’errata informazione rilasciata da personale di cancelleria sul mancato tempestivo deposito della sentenza nei termini di legge (Cass. pen., sez. V, 3/02/2010, n. 10796).

Emerge in ognuno dei casi citati e oggetto di giurisprudenza di legittimità che il mancato adempimento quale l’apposizione di una firma sul ricorso depositato – a qualunque causa ascrivibile – non è idoneo a realizzare le ipotesi di caso fortuito o forza maggiore, che legittimerebbero la restituzione in termini.

Nemmeno le ipotesi di errore od omissione causata da errore – come nel caso di specie – ai fini della restituzione in termini ex art. 175 c.p.p., sono assimilabili ai casi di forza maggiore e caso fortuito perché queste si concretano in forze impeditive non altrimenti evitabili, mentre la condotta ascritta al difensore consiste in una falsa rappresentazione della realtà ed è quindi evitabile mediante la normale diligenza ed attenzione (Cass. pen. sez. V, 28/02/2000, n. 626).

In conclusione, l’ipotesi di errore o omissione causata da errore – ai fini della restituzione nel termine – non può essere assimilata a caso fortuito e/o forza maggiore, in quanto non si assiste ad impedimenti che rendono vano ogni sforzo umano, né gli errori o le omissioni derivano da cause esterne e non imputabili a chi chiede la restituzione.

Cassazione penale, sezione III, sentenza 3 luglio 2017, n. 31917

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