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Trattenuti in caserma per essere sentiti come testimoni: arresto illegale o sequestro di persona?


In tema di reati contro la libertà personale, risponde di sequestro di persona aggravato dall'abuso di potere (art. 605, co. 2, n. 2, c.p.) e non di arresto illegale (art. 606 c.p.) il pubblico ufficiale che trattenga indebitamente in caserma alcuni soggetti non già con la finalità di avviare nei loro confronti una procedura di arresto in flagranza di reato, ma con la diversa finalità di raccogliere le loro deposizioni. Ed invero, per aversi arresto illegale è necessario che l'agente abbia voluto effettuare un intervento coercitivo tipico, qualificato dalle norme procedurali che lo disciplinano e che contestualmente definiscono altresì la connotazione abusiva delle modalità di esercizio del potere attribuito (ovvero non attribuito) al pubblico ufficiale, ciò che difetta nel caso di specie, in cui l'abuso non riguarda specificamente l'esercizio di un potere di coercizione riconosciuto e disciplinato dalla legge, integrandosi dunque la più grave ipotesi di sequestro di persona aggravato a norma dell’art. 605, co. 2, c.p. (Cass. pen. sez. V, sentenza 25 luglio 2017, n. 36885).

di Alessio Scarcella - Consigliere della Corte Suprema di Cassazione

Interessante la decisione della Cassazione qui commentata, che affronta una questione invero (e per fortuna) non molto approfondita nella giurisprudenza di legittimità, riguardante l’esatta delimitazione del perimetro applicativo delle due fattispecie penali, che presentano tra di loro plurimi caratteri comuni, dell’arresto illegale (art. 606 c.p.) e del sequestro di persona aggravato dall’abuso di potere del pubblico ufficiale (art. 605, co. 2, c.p.). La Cassazione, nell’affrontare il tema – in una fattispecie nella quale ad essere imputati erano alcuni militari della GdF cui era stato contestato il reato di sequestri di persona aggravato c.s. nei confronti di alcuni sogg

etti che erano stati da essi condotti in caserma per essere indebitamente trattenuti per mezza giornata al fine di essere sentiti come testimoni – dopo aver operato una interessante quanto utile disamina dei tratti comuni e differenziali delle due fattispecie (escludendo l’esistenza di un apparente contrasto giurisprudenziale), hanno disatteso la tesi difensiva, confermando la correttezza dell’assunto accusatorio secondo cui il fatto andava inquadrato nell’ipotesi dell’art. 605, co. 2, c.p., anziché in quella di arresto illegale.


ORIENTAMENTI GIURISPRUDENZIALI

Conformi

Cass. Pen., Sez. 5, n. 11071 del 16/03/2015

Cass. Pen., Sez. 5, n. 30971 del 16/07/2015

Cass. Pen., Sez. 5, n. 38247 del 15/11/2002

Difformi

Cass. Pen., Sez. 5, n. 6773/06 del 19 dicembre 2005


Il fatto

La vicenda processuale segue, come anticipato, alla sentenza della Corte d’appello che, nel confermare quella di primo grado, aveva riconosciuto responsabili – agli effetti civili, essendo nelle more estintosi per prescrizione il relativo reato – alcuni militari della Guardia di Finanza, riconosciuti colpevoli del reato di sequestro di persona aggravato dall’abuso di potere in quanto pubblici ufficiali, per aver trattenuti indebitamente in caserma per circa 12 ore alcune persone non per trarle in arresto, ma in attesa di essere sentite come testimoni nell’ambito di una vicenda che aveva visto coinvolti, stavolta come persone offese, alcuni finanzieri.

Il ricorso

Avverso la sentenza proponevano ricorso per cassazione i pubblici ufficiali, in particolare sostenendo, per quanto qui di interesse, che l'art. 606 può essere contestato solo al pubblico ufficiale che abbia esercitato in modo scorretto il potere di procedere all'arresto (trattandosi di una prerogativa, comunque, allo stesso riconosciuta dall'ordinamento giuridico), mentre il co. 2 dell'art. 605 c.p. trova applicazione ogni qualvolta la limitazione della libertà personale è il risultato di un abusivo esercizio dei poteri da parte di un qualunque pubblico ufficiale tra le cui competenze non rientra l'arresto. Ne conseguiva, dunque che, sulla base di quest'ultimo criterio di discrimine, la fattispecie concreta doveva essere riportata nel paradigma applicativo dell’arresto illegale.

La decisione della Cassazione

La Cassazione, nell’affermare il principio di cui in massima, ha, sul punto, rigettato il ricorso, in particolare non essendo dubitabile che non ricorresse né l'elemento oggettivo né tanto meno quello soggettivo del diverso reato reclamato, e cioè quello disciplinato dall'art. 606 c.p., giacché le persone offese erano state trattenute in caserma non già con la finalità di avviare nei loro confronti una procedura di arresto in flagranza di reato, ma con la diversa finalità di raccogliere le loro deposizioni. Peraltro, il trattenimento in Caserma si era caratterizzato anche con modalità violente poste in essere dai militari e connotate da evidente illegittimità ed arbitrio (ad esempio, respingendo il padre di uno dei “fermati” che voleva portare dei vestiti al figlio), con ciò evidenziando la corretta riconducibilità della fattispecie di reato nel paradigma applicativo dell'art. 605, co. 2, c.p.

Al fine di meglio comprendere l’approdo cui è pervenuta la Suprema Corte è opportuno un sintetico inquadramento giuridico della questione. L’art. 605, c.p. sotto la rubrica «Sequestro di persona» punisce con la reclusione da sei mesi a otto anni la condotta di chiunque priva taluno della libertà personale. Il co. 2 della medesima disposizione prevede una pena più grave (reclusione da uno a dieci anni), se il fatto è commesso: 1) in danno di un ascendente, di un discendente o del coniuge; 2. da un pubblico ufficiale, con abuso dei poteri inerenti alle sue funzioni. L’art. 606 c.p., diversamente, sotto la rubrica «Arresto illegale», punisce con la reclusione fino a tre anni la condotta del pubblico ufficiale che procede ad un arresto, abusando dei poteri inerenti alle sue funzioni.

Orbene, la giurisprudenza della Cassazione è ferma nell'affermare che il delitto di sequestro di persona consumato da un pubblico ufficiale con abuso dei poteri inerenti alle sue funzioni si distingue da quello di arresto illegale perché, mentre nella prima ipotesi, l'abuso generico dei poteri connessi alle funzioni è un elemento solo circostanziale e quindi occasionale della condotta criminosa, nella seconda ipotesi viene punito proprio l'abuso specifico delle condizioni tassative (commissione di un delitto; stato di flagranza o quasi flagranza) alle quali la legge subordina il potere di arresto (Cass. Pen., Sez. 5, n. 11071 del 16/03/2015, S. e altri, Ced Cass. 262874, relativa a fattispecie in cui la Corte ha ritenuto immune da vizi la sentenza che aveva ricondotto all'art. 605, co. 2, n. 2, c.p. la condotta di alcuni poliziotti i quali, in occasione di gravi incidenti avvenuti nel corso di una manifestazione di protesta, avevano trasportato, trattenuto per ore in caserma e sottoposto a vessazioni coloro che nel corso di quella giornata si erano rivolti ai servizi di Pronto Soccorso, al di fuori di qualunque prospettiva di procedere ad arresto degli stessi). In proposito va ricordato come, per il tradizionale orientamento di legittimità, il delitto di sequestro di persona consumato da un pubblico ufficiale con abuso di poteri inerenti alle sue funzioni e quello di arresto illegale hanno in comune l'elemento materiale (consistente nella privazione della libertà di un soggetto), ma si differenziano per l'elemento soggettivo.

Di recente si è peraltro rivelato nella giurisprudenza di legittimità anche altro orientamento per cui la fattispecie di cui all'art. 605 si distinguerebbe da quella prevista dal successivo art. 606 c.p. perché, mentre nella prima ipotesi, l'abuso generico dei poteri connessi alle funzioni è un elemento solo circostanziale e quindi occasionale della condotta criminosa, nella seconda ipotesi viene punito proprio l'abuso specifico delle condizioni tassative alle quali la legge subordina il potere di arresto (Cass. Pen., Sez. 5, n. 6773/06 del 19 dicembre 2005, D. ed altri, Ced Cass. 234001). In realtà, precisa la Cassazione nella sentenza qui commentata, i due orientamenti solo apparentemente risultano in contrasto, risultando in qualche modo complementari. Non è, invero, in discussione il fatto che entrambe le fattispecie si sostanzino nella privazione della libertà personale del soggetto passivo, condotta nella quale si accentra il disvalore delle due incriminazioni. Ulteriore elemento che le accomuna è il connotato modale che caratterizza tale condotta, e cioè l'abuso dei poteri inerenti le funzioni dell'agente, il che consente di affermare che oggetto di tutela in entrambi i casi è altresì l'interesse di natura pubblicistica alla legalità dell'operato dello stesso pubblico ufficiale. L'elemento che caratterizza la fattispecie di cui all'art. 606 c.p. rispetto a quella di sequestro di persona aggravato dall'abuso di potere di cui all'art. 605, comma secondo n. 2 c.p. è individuabile nel fatto che l'abuso deve riguardare specificamente l'esercizio di un potere di coercizione riconosciuto e disciplinato dalla legge, come pacificamente si distingue dalla seconda già sul piano dell'elemento oggettivo nel senso in precedenza illustrato. Ciò però non esclude che, come invece sostenuto dall'orientamento maggioritario, anche sul versante dell'elemento soggettivo si registri una differenza o, più correttamente, si riveli la specialità dell'art. 606 c.p. Ed infatti, per abusare del potere d'arresto è innanzi tutto necessaria la volontà di procedere ad un arresto (pur nell'accezione lata che il termine assume per costante giurisprudenza e dottrina in seno all'incriminazione in esame) e, dunque, quando ad agire sia un ufficiale od un agente di polizia giudiziaria, di compiere un atto che comporta ab origine l'intenzione di mettere il soggetto ristretto a disposizione dell'autorità giudiziaria.

Sulla base delle superiori considerazioni, pertanto, non è dubitabile che non ricorresse nel caso di specie né l'elemento oggettivo né tanto meno quello soggettivo del diverso reato reclamato dai pubblici ufficiali, e cioè quello disciplinato dall'art. 606 c.p.: si era trattato di sequestro di persona aggravato a norma del co. 2 dell’art. 605 c.p.

Cassazione penale, sezione V, sentenza 25 luglio 2017, n. 36885

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