google-site-verification=fW9ic3r_naxgruDksv5S6Ug4tN6LSm6wUy51njmsY0M La quota di pensione impignorabile I limiti di pignorabilità introdott
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La quota di pensione impignorabile I limiti di pignorabilità introdotti dal nuovo art. 545 c.p.c.


Avv. Giampaolo Morini - Ai sensi dell'art. 72 ter[2] DPR n. 602/1973, le somme dovute a titolo di stipendio, di salario o di altre indennità relative al rapporto di lavoro o di impiego, comprese quelle dovute a causa di licenziamento, possono essere pignorate dall'agente della riscossione in misura pari ad un decimo per importi fino a 2.500 euro e in misura pari ad un settimo per importi superiori a 2.500 euro e non superiori a 5.000 euro.

Limiti di pignorabilità[1]

Qualora le somme dovute a titolo di stipendio, di salario o di altre indennità relative al rapporto di lavoro o di impiego, comprese quelle dovute a causa di licenziamento, superano i cinquemila euro si applica l'articolo 545, quarto comma c.p.c.

Nel caso, invece, in cui le somme di cui ai commi 1 e 2 art. 72-ter siano accreditate su conto corrente intestato al debitore, gli obblighi del terzo pignorato non si estendono all'ultimo emolumento accreditato allo stesso titolo[3] (co. 2 bis art. 72 ter DPR 602/1973).

In caso di inottemperanza all'ordine di pagamento si procede, previa citazione del terzo intimato e del debitore, secondo le norme del codice di procedura civile.

Importanti novità, in tema di pignoramento di stipendi e pensioni, sono state di introdotte dall'art. 13 del d.l. n. 83 del 27 giugno 2015, convertito in legge senza modifiche, con specifico riguardo alle novità apportate dal decreto legge all'art. 545 c.p.c.

I crediti impignorabili

Si aggiungono, così, ad opera del menzionato art. 13, tre nuovi commi all'art. 545 c.p.c., disposizione del codice, quest'ultima, rubricata "Crediti impignorabili".

I nuovi commi (settimo, ottavo e nono) aggiunti all'art. 545 c.p.c. sono:

[VII] Le somme da chiunque dovute a titolo di pensione, di indennità che tengono luogo di pensione o di altri assegni di quiescenza, non possono essere pignorate per un ammontare corrispondente alla misura massima mensile dell'assegno sociale, aumentato della metà. La parte eccedente tale ammontare è pignorabile nei limiti previsti dal terzo, quarto e quinto comma nonché dalle speciali disposizioni di legge.


[VIII]Le somme dovute a titolo di stipendio, salario, altre indennità relative al rapporto di lavoro o di impiego, comprese quelle dovute a causa di licenziamento, nonché a titolo di pensione, di indennità che tengono luogo di pensione, o di assegni di quiescenza, nel caso di accredito su conto bancario o postale intestato al debitore, possono essere pignorate, per l'importo eccedente il triplo dell'assegno sociale, quando l'accredito ha luogo in data anteriore al pignoramento; quando l'accredito ha luogo alla data del pignoramento o successivamente, le predette somme possono essere pignorate nei limiti previsti dal terzo, quarto, quinto e settimo comma, nonché dalle speciali disposizioni di legge.


[IX] Il pignoramento eseguito sulle somme di cui al presente articolo in violazione dei divieti e oltre i limiti previsti dallo stesso e dalle speciali disposizioni di legge è parzialmente inefficace. L'inefficacia è rilevata dal giudice anche d'ufficio.


A corollario, sono state modificate delle disposizioni contenute nel nuovo art. 545, il primo comma dell'art. 546 c.p.c.

Appaiono significative le novità introdotte per effetto dei sopra riportati commi settimo e ottavo del novellato art. 545 c.p.c.

Il settimo comma introduce normativamente una quantificazione certa della quota di assegno pensionistico mensile da ritenersi del tutto impignorabile, rapportando un tale importo a quello dell'assegno sociale, aumentato della metà, disposizione che, così facendo, rappresenta una "chiusura del cerchio" di chiusura rispetto alle, indicazioni fornite dalla Corte Costituzionale nella nota sentenza n. 506 del 4 dicembre 2002.

Più interessanti appaiono le novità introdotte per effetto del sopra riportato ottavo comma dell'art. 545 c.p.c.

Per la prima volta viene introdotta una disciplina, con portata generale, concernente i limiti alla pignorabilità delle somme presenti sul conto corrente bancario o postale, ogni volta che sullo stesso confluiscano importi rinvenienti da accredito di stipendi o pensioni: anche tale novità accoglie le indicazione della Corte Costituzionale, dal momento che, soltanto poche settimane prima della adozione del d.l. n. 83 del 2015, il giudice delle leggi aveva espressamente auspicato un intervento legislativo sulla materia.


Quota mensile di pensione da reputarsi impignorabile



Detta disposizione, fornisce una risposta ad un problema sorto con la nota sentenza n. 506 del 2002 della Corte Costituzionale.

La Corte Costituzionale sanciva il definitivo superamento della totale impignorabilità della pensione, affermando che una tale impignorabilità dovesse intendersi limitata alla sola parte della pensione, assegno o indennità necessaria per assicurare al pensionato mezzi adeguati alle esigenze di vita, dovendo il residuo importo dell'assegno mensile netto ritenersi pignorabile nei limiti del quinto.

Sulla determinazione della quota da ritenersi impignorabile, la Corte Costituzionale, nella citata pronuncia, invitava il legislatore a individuare in concreto l'ammontare della (parte di) pensione idoneo ad assicurare mezzi adeguati alle esigenze di vita del pensionato, come tale legittimamente assoggettabile al regime di assoluta impignorabilità.


In assenza dell'intervento del legislatore l'ultima parola era lasciata alla giurisprudenza.

Al riguardo, la Cassazione aveva rilevato che, in difetto di un intervento sul punto da parte del legislatore, la quantificazione operata di volta in volta dal giudice dell'esecuzione fosse insindacabile in sede di legittimità, sempre che la stessa fosse logicamente e congruamente motivata[4].

Allo stesso modo la giurisprudenza di legittimità, precisava come la rilevabilità di una causa di impignorabilità ben potesse avvenire d'ufficio, non essendo necessaria sul punto l'opposizione del debitore, trattandosi di una causa di impignorabilità posta a tutela di un interesse di natura pubblicistica, quale quello finalizzato a garantire al pensionato i mezzi adeguati alle esigenze di vita (si veda ancora, sul punto, Cass. civ. 22 marzo 2011, n. 6548.

La disposizione introdotta con il comma settimo dell'art. 545 c.p.c. ha il sicuro pregio di introdurre una quantificazione di un tale importo da reputare impignorabile, ragguagliando lo stesso alla misura massima mensile dell'assegno sociale, aumentato della metà.

L'assegno (istituito con l'art. 3, comma 6, della l. n. 335 del 1995) viene quantificato, per l'anno 2015, in un importo annuo di € 5.830,63, suddiviso in tredici mensilità di € 448,51: L'art. 23 del d.l. n. 83 del 2015, al suo sesto comma, prevede che la nuova formulazione dell'art. 545 c.p.c. trova applicazione con riguardo alle sole procedure esecutive iniziate successivamente all'adozione di tale provvedimento normativo: dovrebbe quindi concludersi per la inapplicabilità di una tale soglia legale di impignorabilità della pensione alle procedure esecutive in corso al momento dell'adozione di tale provvedimento.

Deve, tuttavia, ribadirsi come, anteriormente alla emanazione di una tale disposizione, la quantificazione della soglia di impignorabilità della pensione fosse sostanzialmente rimessa alla valutazione del giudice dell'esecuzione, con l'effetto che in presenza di un sicuro parametro normativo sul quale operare la quantificazione di una tale soglia di impignorabilità, non sembri fuori luogo, in sede interpretativa, ritenere le indicazioni contenute nel novellato art. 545 c.p.c. come utilizzabili anche con riguardo alle procedure in corso.

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