google-site-verification=fW9ic3r_naxgruDksv5S6Ug4tN6LSm6wUy51njmsY0M Danno da tradimento: si può chiedere il risarcimento per perdita di un
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Danno da tradimento: si può chiedere il risarcimento per perdita di un marito “facoltoso”?

La Suprema Corte, con la sentenza Cassazione civile, 3 agosto 2017, n. 19422, ha fatto propri i principi giurisprudenziali che nel tempo si sono orientati verso il riconoscimento della autonoma ed astratta risarcibilità dei danni da violazione dei doveri coniugali. La sentenza si segnala, però, perché nonostante tale apertura, la Suprema Corte, nella quantificazione del danno ha chiarito in maniera molto ferma che la lesione, per quanto grave e significativa, non può essere riparata parametrando il ristoro alla capacità patrimoniale e reddituale del coniuge danneggiante.



ORIENTAMENTI GIURISPRUDENZIALI

Conformi

Corte di Cassazione – sentenza 26 maggio 1995 n. 5866

Corte di Cassazione – sentenza 10 maggio 2005 n. 9801

Corte di Cassazione – sentenza 15 settembre 2011 n. 18853

Corte di Cassazione – sentenza 28 settembre 2015 n. 19193.

Difformi

Non ci sono precedenti


La fattispecie

anche per effetto delle modalità e delle circostanze con cui è venuta a conoscenza del tradimento. Ha, pertanto, qualificato e quantificato il danno patito in conseguenza del tradimento non solo quale lesione della propria dignità e della salute ma anche quale perdita dei vantaggi economici che le sarebbero derivati in caso di persistenza del vincolo matrimoniale in considerazione delle capacità patrimoniali e reddituali del marito/danneggiante.

Il problema

La questione giuridica affrontata dalla Suprema Corte di Cassazione con la sentenza in commento si fonda sulla interpretazione dei confini di applicazione del secondo comma dell’art. 151 c.c., che, come noto, sanziona il coniuge che con il suo comportamento causa l’intollerabilità della convivenza coniugale.

La giurisprudenza, infatti, si è più volte soffermata sul concetto di “intollerabilità” valutando il comportamento del coniuge/danneggiante anche alla luce di quello tenuto dall’altro coniuge. Ed in questo contesto, via via, ci si è interrogati anche sulla astratta risarcibilità dei danni per violazione dei doveri matrimoniali, e sulla compatibilità del rimedio risarcitorio con la natura già sanzionatoria dell’addebito.

L’evoluzione giurisprudenziale

Nel tempo, gli interpreti hanno considerato, accanto ai profili inerenti all’addebito, anche la gravità e la riprovevolezza del contegno del coniuge che ha determinato la separazione in considerazione dei doveri coniugali lesi.

In questa ottica è stato dato, rilievo di volta in volta, alla violazione dei diritti costituzionali e dei diritti di personalità del coniuge; alla violazione dell’obbligo di fedeltà (anche in termini di lesione della fiducia che un coniuge ripone nell’altro); alla violazione dell’obbligo di coabitazione; alla violazione dell’obbligo di assistenza e di collaborazione; nonché alla violazione dell’obbligo di contribuzione.

Tanto che si è assistito ad un progressivo riconoscimento del carattere non solo patrimoniale (ex art. 156, primo comma, c.c. nonché ex artt. 548 e 585, secondo comma, c.c.) ma anche risarcitorio (ex art. 151, secondo comma, c.c.) della pronuncia di addebito.

Per vero, la questione della astratta ed autonoma risarcibilità, affrontata da ultimo dalla Suprema Corte con la sentenza che si commenta, era già stata oggetto di esame da parte della giurisprudenza che sin dal 2005 era arrivata a riconoscere al coniuge tradito il diritto al risarcimento del danno, in quanto la violazione degli obblighi coniugali è stata ritenuta idonea ad integrare un vero e proprio illecito civile, vista la natura giuridica, oltre che morale, dei doveri derivanti dall'unione.

Già in una sentenza del 2005 (n. 9801/2005) infatti la Corte ha fatto notare che i doveri che derivano ai coniugi dal matrimonio non sono di carattere esclusivamente morale, ma hanno natura giuridica, come si desume dal riferimento, contenuto nell'art. 143 c.c., alle nozioni di dovere, di obbligo e di diritto nonché dall'espresso riconoscimento, nell'art. 160 c.c., della loro inderogabilità e dalle conseguenze di ordine giuridico che l'ordinamento fa derivare dalla loro violazione. Cosicché si è ritenuto che l'interesse di ciascun coniuge nei confronti dell'altro alla loro osservanza abbia valenza di diritto soggettivo.

Prendendo spunto da questa posizione, in una nota sentenza del 2011 (n. 18853/2011), la prima sezione civile della Cassazione ha, quindi, precisato che la violazione di quei doveri non trova necessariamente la propria sanzione solo nelle misure tipiche previste dal diritto di famiglia, ma può anche, ove ne sussistano tutti i presupposti secondo le regole generali, integrare gli estremi di un illecito civile.

La Corte in questa occasione ha, in particolare, precisato che non è sufficiente, però, la mera violazione dei doveri matrimoniali, e neppure la pronuncia di addebito della separazione, dal momento che questi non possono di per sé e automaticamente integrare una responsabilità risarcitoria, dovendo, quanto ai danni non patrimoniali, riscontrarsi la concomitante esistenza di tutti i presupposti per cui viene riconosciuta detta responsabilità ossia la concreta violazione del dovere coniugale, la sussistenza del danno ingiusto e la prova del nesso causale tra violazione commessa e danno procurato. Tanto che la Cassazione, ha puntualizzato che per il caso dell'infedeltà va dimostrato che questa "per le sue modalità e in relazione alla specificità della fattispecie, abbia dato luogo a lesione della salute del coniuge (lesione che dovrà essere dimostrata anche sotto il profilo del nesso di causalità)" oppure che se "l'infedeltà per le sue modalità abbia trasmodato in comportamenti che, oltrepassando i limiti dell'offesa di per sé insita nella violazione dell'obbligo in questione, si siano concretizzati in atti specificamente lesivi della dignità della persona, costituente bene costituzionalmente protetto".

La Suprema Corte ha, quindi, chiarito che l'azione non è impedita dal fatto che i coniugi siano addivenuti a separazione consensuale e la separata azione per il risarcimento dei danni prodotti dalla violazione dei doveri nascenti dal matrimonio e riguardanti diritti costituzionalmente protetti è esperibile anche in mancanza di addebito della separazione.

Così riconoscendo l’autonomia della componente risarcitoria da quella relativa alla sanzione dell’addebito.

L'indirizzo innovativo della Cassazione ha trovato conferma in diverse pronunce recenti.

Tanto che nell'ordinanza n. 19193/2015 la Suprema Corte ha confermato la condanna al risarcimento dei danni di un ex marito che aveva, con un atteggiamento equivoco e mistificatorio, indotto la moglie a ritenere superata la pregressa crisi coniugale mentre, per anni, aveva portato avanti una convivenza con altra donna di cui erano a conoscenza almeno i parenti dell'uomo. Tale comportamento aveva provocato uno stato di depressione grave nella moglie, oltre che una grave lesione della dignità personale, ponendosi come produttivo di danni risarcibili.

La pronuncia dell’agosto del 2017

Con la decisione in commento, la Suprema Corte ha mostrato anzitutto una apertura nei confronti della linea interpretativa favorevole alla autonoma ed astratta risarcibilità dei danni da violazione dei doveri coniugali.

I Giudici di legittimità, infatti, là dove hanno riconosciuto il danno patito dalla ricorrente a seguito della “lesione della dignità e della salute per effetto delle modalità e circostanze nelle quali (ha) appre(so) dell’esistenza ... di una figlia che il marito aveva avuto da una precedente relazione” hanno infatti incluso, fra le violazioni lese, la dignità del coniuge tradito (sempre in relazione al comportamento del coniuge danneggiante che, come detto, nella presente fattispecie, aveva avuto un figlio con un’altra donna).

Con conseguente ampliamento del novero dei danni da lesione dei diritti della persona.

Eppure, nonostante tale apertura la Suprema Corte, nella quantificazione del danno ha chiarito in maniera molto ferma che la lesione, per quanto grave e significativa, non può essere riparata parametrando il ristoro alla capacità patrimoniale e reddituale del coniuge danneggiante.

Ciò in quanto la fattispecie non può essere inquadrata sub specie di addebito, bensì come fatto illecito ex artt. 2043 e 2059 c.c.

In conclusione. Alla luce di quanto appena brevemente esposto si deve quindi ritenere che, sotto il profilo interpretativo, si stia sempre più consolidando il principio per cui la violazione dei doveri coniugali dia luogo ad un illecito civile autonomo ed astratto, che nondimeno non può essere confuso, né sovrapposto con l’istituto dell’addebito della separazione che risponde a regole e criteri ben diversi rispetto a quelli che soprintendono il c.d. “danno da tradimento”.

Ne deriva che, anche sotto il profilo processuale, laddove l'inadempimento dei doveri coniugali che ha dato luogo ad addebito della separazione sia stato così rilevante, da integrare anche una responsabilità risarcitoria ex art. 2043 c.c., in ogni caso, sarà necessario un autonomo procedimento, per la diversità di rito che interessa le questioni strettamente connesse alla separazione.

Dati:

Art. 143 c.c

Art. 151 c.c.

Art. 156 c.c.

Art. 160 c.c. Art. 2043 c.c.

Art. 2059 c.c.

Art. 1226 c.c.

Art. 5, Legge n. 898/1970

Cassazione civile, sentenza 3 agosto 2017, n. 19422

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