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Muore l’alunno all’esterno dell’edificio scolastico: l’istituto paga i danni





Responsabilità della scuola

La Corte di Cassazione (ordinanza 19 settembre 2017, n. 21593) ha respinto il ricorso avanzato dal Ministero dell’Istruzione avverso una pronuncia di condanna al risarcimento dei danni patiti dai familiari di un alunno minorenne, uscito dalla scuola al termine delle lezioni ed investito mortalmente da un autobus di linea. Infatti, in presenza di un regolamento di istituto che lo prevede espressamente, deve ritenersi sussistente anche in simili circostanze un obbligo di vigilanza in capo all’amministrazione scolastica, con conseguente responsabilità ministeriale, in caso di danni occorsi agli studenti. Il personale scolastico, in particolare, ha l’obbligo di far salire e scendere dai mezzi di trasporto davanti al portone della scuola gli alunni, compresi quelli delle scuole medie, nonché quello di vigilare nel caso in cui i mezzi di trasporto ritardino. Detta attività di vigilanza, secondo la Suprema Corte, non deve arrestarsi fino a quando gli alunni dell’istituto non vengono presi in consegna da altri soggetti, così da potersi dire sottoposti ad altrui vigilanza (nella specie, quella del personale addetto al trasporto).


Il fatto

Nel novembre 2002, alla fine dello svolgimento delle attività scolastiche, un bambino di undici anni usciva dal proprio istituto per tornare a casa quando, purtroppo, veniva investito mortalmente da un autobus di linea.

Seguiva un processo penale intentato nei confronti della preside e dell’insegnante dell’ultima ora, le quali venivano tuttavia prosciolte per intervenuta prescrizione del reato loro imputato, nonostante nel corso del giudizio fosse stata accertata la loro colpevolezza.

In seguito, i genitori e il fratello della giovane vittima promuovevano un giudizio civile nei confronti, rispettivamente, del conducente dell’autobus di linea, del Comune del luogo ove era avvenuto il sinistro stradale e del Ministero dell’Istruzione, al fine di ottenere il risarcimento dei danni subiti iure hereditario e iure proprio.

Il Tribunale adito dichiarava, al termine del processo, che la responsabilità dell’incidente fosse da ascrivere per il 40% al conducente del mezzo, per il 40% al Comune e per il restante 20% al Ministero. In particolare, il giudice di merito aveva ritenuto responsabile il Comune per non avere correttamente adempiuto all’onere della prova ai sensi dell’art. 2051 c.c., ed il Ministero per responsabilità indiretta in quanto, ai sensi del regolamento di istituto dell’alunno deceduto non doveva essere interrotta la vigilanza della scuola fino all’affidamento dei minori al personale di trasporto o, in mancanza di questo, a soggetti pubblici responsabili. Nel caso di specie, invero, i ragazzi appena usciti dalla scuola sarebbero stati lasciati liberi sulla strada pubblica.

Proponevano tuttavia appello i familiari del minore deceduto, lamentando una inadeguata valutazione equitativa del danno non patrimoniale da essi sofferto, atteso che il giudice di prime cure non aveva applicato (come, a loro dire, avrebbe dovuto) i massimi tabellari. Il Ministero replicava, a questo punto, con un appello incidentale, sostenendo:


a) che l’incidente occorso all’alunno si era verificato all’esterno degli edifici scolastici;

b) che in detti luoghi non si estenderebbe l’obbligo di vigilanza sui minori da parte del corpo docente o del personale dipendente del Ministero, in quanto l’amministrazione scolastica assumerebbe la custodia degli alunni all’interno della sede nello svolgimento delle attività scolastiche e non, come nel caso di specie, in luoghi di pertinenza dell’istituto scolastico;

c) che, in particolare, il punto di raccolta degli alunni esterna al cancello della scuola non costituirebbe pertinenza dell’istituto e pertanto difetterebbe in radice qualunque obbligo di custodia all’esterno della scuola. Ebbene, la Corte territoriale accoglieva il ricorso principale circa il quantum del danno non patrimoniale, ridefinendo le somme riconosciute in primo grado alla madre e al padre del minore deceduto, mentre ritenevano equa la somma stabilita in favore del fratello. Respingeva invece l’appello incidentale proposto dal Ministero sulla base delle evidenze emerse nel corso del giudizio penale intentato nei confronti della preside e dell’insegnante dell’ultima ora, conclusosi con sentenza dichiarativa di estinzione del reato per intervenuta prescrizione, e dalla quale emergeva in ogni caso il profilo di colpevolezza degli imputati tracciato dal Tribunale. Avverso tale pronunzia il Ministero soccombente proponeva ricorso per cassazione, ed i familiari della vittima resistevano con controricorso e ricorso incidentale.


La decisione

La Corte di Cassazione ha rigettato tanto il ricorso principale, quanto quello incidentale, compensando le spese di giudizio.

Il Ministero, in particolare, lamentava l’omissione, da parte dei giudici di appello, di qualunque tipo di valutazione in ordine alle difese dell’amministrazione scolastica, fondando il proprio convincimento esclusivamente sul giudicato penale.

I giudici di secondo grado, ancora, avrebbero errato, secondo le difese del ricorrente, nel rigettare l’appello incidentale volto a dimostrare l’assenza di responsabilità contrattuale dell’istituto scolastico nella vicenda in esame.

Secondo tale iter argomentativo, infatti, il sinistro si era verificato all’esterno degli edifici scolastici a seguito della fine dello svolgimento delle attività scolastiche, quindi in un luogo in cui non si estende l’obbligo di vigilanza sui minori della scuola o del personale addetto alla vigilanza dipendente dal Ministero.

Gli ermellini, tuttavia, hanno respinto tale assunto, giudicando sussistente, nella fattispecie, un obbligo di vigilanza in capo all’amministrazione scolastica (con conseguente responsabilità ministeriale indiretta) sulla base di quanto disposto all’art. 3, lettere d) ed f), del vigente regolamento d’istituto, le quali:


a) ponevano a carico del personale scolastico l’obbligo di far salire e scendere dai mezzi di trasporto davanti al portone della scuola gli alunni, compresi quelli delle scuole medie;

b) demandavano, altresì, al personale medesimo la vigilanza nel caso in cui i mezzi di trasporto ritardassero.


Sulla scorta di tali premesse, sostiene la Suprema Corte, correttamente i giudici di merito avevano logicamente dedotto che l’attività di vigilanza della quale l’amministrazione scolastica era onerata non avrebbe dovuto arrestarsi fino a quando gli alunni dell’istituto non fossero presi in consegna da altri soggetti e dunque sottoposti ad altra vigilanza, nella specie quella del personale addetto al trasporto.

Ad ulteriore conferma della correttezza di tale deduzione, il fatto che anche in sede penale fosse stata accertata la colpevolezza della preside e della insegnante dell’ultima ora, assolte unicamente per intercorsa prescrizione.

La responsabilità della scuola per i danni agli alunni

La pronuncia in commento offre lo spunto, in generale, per fare, pur in breve, il punto sulla responsabilità civile della scuola e del suo personale per i danni occorsi agli alunni.

Come noto, l’iscrizione dello studente presso un istituto scolastico determina l’insorgenza di un vero e proprio vincolo negoziale, ossia la stipula di un contratto dal quale deriva l’obbligo per la scuola di vigilare sulla sicurezza e sulla incolumità dell’allievo, durante lo svolgimento di tutte le attività scolastiche, in ogni loro espressione, ivi comprese, ad esempio, le gite.

La scuola è, in tal senso, tenuta:


a) a predisporre tutti gli accorgimenti necessari, sia all’interno dell’edificio che nelle pertinenze scolastiche, di cui abbia a qualsiasi titolo la custodia, messe a disposizione per l’esecuzione della propria prestazione;

b) ad osservare obblighi di vigilanza e controllo con lo sforzo diligente adeguato alla natura della cosa e alle circostanze del caso concreto, dovendo adottare tutte le misure idonee a prevenire ed impedire la produzione di danni a terzi;

c) ossia, a mantenere una condotta diligente secondo criteri di normalità, da apprezzarsi in relazione alla sua capacità tecnica e organizzativa.


Pertanto, in caso di danni occorsi agli alunni durante il tempo in cui dovrebbero esser sorvegliati dal personale della scuola, si può prospettare, a carico del Ministero dell’Istruzione (come pure, in caso di scuola privata, dell’ente che la gestisce), una duplice forma di responsabilità, sia pure indiretta (a mente dell’art. 2049 c.c., secondo cui “i padroni ed i committenti sono responsabili per i danni arrecati dal fatto illecito dei loro dipendenti e commessi nell'esercizio delle incombenze a cui sono adibiti”), esperibile contemporaneamente:

a) una responsabilità contrattuale ex art. 1218 c.c., se la domanda è fondata sull’inadempimento all’obbligo specificatamente assunto di vigilare;

b) una responsabilità extracontrattuale per fatti imputabili ai propri dipendenti, se la domanda è fondata sulla violazione del generale dovere di non recare danno ad altri: essa, in particolare, può attenere, da un lato, all’omissione rispetto all’obbligo di vigilanza sugli alunni minori, ex artt. 2047 e 2048 c.c., e, dall’altro, all’omissione rispetto agli obblighi organizzativi, di controllo e di custodia, ex artt. 2043 e 2051 c.c..

Ora, tornando alla pronuncia in commento, la particolarità della stessa consiste nell’avere attribuito una responsabilità alla scuola (e dunque, indirettamente, al Ministero), non solo nell’ipotesi in cui essa non predisponga, come detto, gli accorgimenti necessari ad evitare il verificarsi di danni a carico degli alunni, sia all’interno dell’edificio che nelle pertinenze scolastiche, ma anche in quella in cui essa non estenda la propria attività di vigilanza anche all’esterno dell’istituto, quanto meno sino al momento in cui gli studenti non vengano presi in consegna da altri soggetti (come ad esempio, nella fattispecie, al personale addetto al trasporto).

Conclusioni

Respinta, come detto, la domanda del ricorrente Ministero, la Suprema Corte ha rigettato anche il ricorso incidentale avanzato dai familiari del minore deceduto, i quali lamentavano, in punto di quantificazione del pregiudizio non patrimoniale, l’applicazione, ad opera della Corte di Appello, dei valori medi tabellari, e non quelli massimi, come sarebbe stato logico, attesa la gravità del danno da essi patito.

Secondo i giudici di Piazza Cavour, invece, la Corte territoriale aveva, nella circostanza, operato una nuova valutazione dei criteri applicati dal Tribunale di primo grado motivando, in maniera succinta ma chiara, che alla luce dei dati oggettivamente emersi nell’esaminata questione il riconoscimento dei valori medi riconosciuti nelle Tabelle di Milano avrebbero meglio ristorato il sofferto danno da perdita di un figlio.

Di qui, il rigetto delle domande avanzate da tutte le parti in causa, con compensazione delle spese processuali.

Esito del ricorso:

Rigetto delle domande

Precedenti giurisprudenziali:

Cass. civ., sentenza n. 19160/2012

Cass. civ., sentenza n. 1769/2012

Cass. civ., sentenza n. 3680/2011

Riferimenti normativi:

Art. 28 Cost.

Art. 32 Cost.

Art. 1218 c.c.

Art. 1226 c.c.

Art. 2043 c.c.

Art. 2047 c.c.

Art. 2048 c.c.

Art. 2049 c.c.

Art. 2051 c.c.

Art. 2056 c.c.

Cassazione civile, sez. III, ordinanza 19 settembre 2017, n. 21593

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