google-site-verification=fW9ic3r_naxgruDksv5S6Ug4tN6LSm6wUy51njmsY0M La Cassazione ribadisce la nullità delle fideiussioni omnibus
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La Cassazione ribadisce la nullità delle fideiussioni omnibus redatte su schema Abi

In tema di accertamento dell'esistenza di intese restrittive della concorrenza vietate dall'art. 2 L. n. 287/1990, con particolare riguardo a clausole relative a contratti di fideiussione da parte delle banche, il provvedimento adottato dalla Banca d'Italia prima della modifica di cui all'art. 19, comma 11, I. n. 262/2005, possiede, al pari di quelli emessi dall'Autorità Garante per la Concorrenza, una elevata attitudine a provare la condotta anticoncorrenziale, indipendentemente dalle misure sanzionatorie che siano pronunciate, e il giudice del merito è tenuto, per un verso, ad apprezzarne il contenuto complessivo, senza poter limitare il suo esame a parti isolate di esso, e, per altro verso, a valutare se le disposizioni convenute contrattualmente coincidano con le condizioni oggetto dell'intesa restrittiva, non potendo attribuire rilievo decisivo all'attuazione, o non attuazione, della prescrizione contenuta nel provvedimento amministrativo con cui è stato imposto all'ABI di estromettere le clausole vietate dallo schema contrattuale diffuso presso il sistema bancario. Corte di Cassazione, sez. I, civ., sentenza 22 maggio 2019, n. 13846

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E' trascorso circa un anno e mezzo da quando la Prima Sezione della Corte di Cassazione con ordinanza n. 29810 stabiliva la nullità delle fideiussioni omnibus bancarie predisposte sullo schema ABI.

Un precedente commento, su questa Rivista cui si rimanda, spiegava nei particolari le motivazioni di un provvedimento dei Giudici di legittimità di portata enorme; in questa sede ci limiteremo pertanto a ricordare sinteticamente che il principio di diritto per cui veniva comminata la sanzione della nullità del testo consisteva nella violazione dell'articolo 2, comma 2, lettera A della L. n. 287 del 1990 (c.d.Legge Antitrust).

Tale legge sullo specifico punto recita: "2. Sono vietate le intese tra imprese che abbiano per oggetto o per effetto di impedire, restringere o falsare in maniera consistente il gioco della concorrenza all'interno del mercato nazionale o in una sua parte rilevante, anche attraverso attività consistenti nel fissare direttamente o indirettamente i prezzi d'acquisto o di vendita ovvero altre condizioni contrattuali;"

Sulla base di tale principio, in sostanza, la Corte rifiutò questa sorta di "appiattimento testuale" dato proprio dall'uniformità dei testi predisposti a monte dall'ABI ed utilizzati, senza variazione alcuna, a valle, da tutte le banche. La Legge Antitrust, sempre secondo la Corte, detta norme a tutela della libertà di concorrenza aventi come destinatari tutti gli operatori del mercato, ovvero chiunque abbia interesse alla conservazione del carattere competitivo dello stesso e proprio tale interesse viene leso, ogni qualvolta che per effetto di un'intesa vietata - in quanto restrittiva della concorrenza - come certamente deve considerarsi l'uniformità del testo delle fideiussioni utilizzato dagli Istituti di Credito - venga eluso il diritto ad una scelta effettiva tra prodotti in concorrenza.

Da allora, sulla scorta dei principi enunciati dalla Suprema Corte, la giurisprudenza di merito si è espressa per la maggior parte in maniera conforme per la declaratoria di nullità, ma non sono mancate anche le voci "fuori dal coro".Tribunali come Milano sentenza n°5039/18 e Napoli con sentenza n° 29810/17 avevano creato sottili "distinguo", prevalentemente di carattere strumentale, che di fatto reintroducevano presupposti di validità della fideiussione redatta su schema ABI.

Forse proprio per tali (leciti) costanti tentativi di contrastare ciò che ai più era invece parso come un ineludibile verdetto di nullità totale della fideiussione in ogni sua parte e rilevabile da chiunque in ogni stato e grado di qualsiasi giudizio, la Corte di Cassazione, sempre prima sezione, è dovuta ritornare sull'argomento, questa volta non più con ordinanza, bensì con sentenza ( cassazione 22 maggio 2019 n. 13846) che riforma una sentenza resa dalla Corte d'Appello di Brescia n°554/2014 la quale aveva deciso, appunto, "fuori dal coro", concludendo per la validità della fideiussione bancaria omnibus redatta su schema ABI.

In pratica la Cassazione ha fatto chiarezza su alcuni punti che, nell'arco dell'ultimo anno e mezzo dalla prima ordinanza – per la verità già chiarissima – avevano costituito elemento di (presunto) diritto per alcuni giudici di merito per sostenere la validità della fideiussione.

In particolare la Corte di Cassazione con la pronuncia n. 13846/19 cit., pertanto, ha precisato innanzitutto che il giudice di merito, nell'ambito dell'accertamento della sussistenza di un'intesa anticoncorrenziale ai sensi della richiamata normativa antitrust non può negare detta intesa soltanto sulla base della mancata presenza, all'interno del richiamato provvedimento della Banca d'Italia del 2 maggio 2005, di diffide o sanzioni (sostanzialmente su tale argomentazione si erano infatti basate le poche sentenze di merito successive alla prima pronuncia di nullità del 2017 da parte dei Giudici di Cassazione); pertanto prescindendo dal contenuto prescrittivo del provvedimento della Banca d'Italia, ciò che assume rilievo ai fini dell'accertamento della violazione della normativa antitrust, "è che i fatti accertati e le prove acquisite nel corso del procedimento amministrativo non siano più controvertibili, né utilizzabili a fini e con un senso diverso da quello attribuito nel provvedimento stesso".

La Cassazione, invero, stabilisce che "quel che rileva è, dunque, l'accertamento dell'intesa restrittiva da parte della Banca d'Italia: non il fatto che, in dipendenza di tale accertamento, siano state pronunciate diffide o sanzioni".

La Corte di Cassazione ribadisce quindi quanto espresso già un anno e mezzo prima, ovverosia che l'illecito anticoncorrenziale va rinvenuto nella coincidenza delle clausole del contratto fideiussorio col testo dello schema contrattuale espressivo della vietata intesa restrittiva e anticoncorrenziale, a prescindere dalla prova della circostanza che l'ABI abbia diffuso o meno il testo delle condizioni generali del contratto di fideiussione contenente le clausole che costituivano oggetto dell'intesa restrittiva vietata ovvero, dopo il provvedimento della Banca d'Italia, abbia diffuso un testo emendato.

E ancora, secondo la Cassazione, ciò che rileva è che gli "artt. 2, 6 e 8 … costituiscano lo sbocco dell'intesa vietata", e cioè che attraverso le dette disposizioni si siano attuati gli effetti della condotta illecita (Cass. S.U. 4.2.2005 n. 2207, nonché Cass. 12.12.2017 n. 29810).

Ne consegue che, i giudici di merito, sulla base del provvedimento sanzionatorio della Banca d'Italia n. 55/2005 cit. dovranno limitarsi ad accertare la coincidenza delle convenute condizioni contrattuali del modulo negoziale applicato in concreto dalla Banca con quelle espressive della vietata intesa restrittiva, traendone le relative conseguenze.

In materia di violazione della normativa antitrust, invero, accertata la sussistenza di un'intesa illecita "a monte" occorre stabilire se la banca abbia sottoposto o meno al consumatore finale "un modulo negoziale includente le disposizioni che costituivano comunque oggetto dell'intesa di cui all'art. 2, lett. a), l. n. 287/1990".

Il principio enunciato o meglio ribadito, ulteriormente specificato e precisato dalla Cassazione fa quindi chiarezza, si spera definitiva, sui punti che ancora costituivano motivo di resistenza alla declaratoria di nullità e per tali ragioni è lecito attendersi che d'ora in poi (tutta) la magistratura di merito non avrà più alcun dubbio nell'emettere unanimi provvedimenti dichiarativi di nullità.

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