google-site-verification=fW9ic3r_naxgruDksv5S6Ug4tN6LSm6wUy51njmsY0M Disdetta dell’affitto: si può revocare?
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Disdetta dell’affitto: si può revocare?


Per revocare la disdetta dell’affitto serve un comportamento espresso: non basta la tolleranza dell’inquilino all’interno dell’appartamento e la percezione del canone.

Il proprietario dell’appartamento nel quale vivi ti ha comunicato la disdetta dell’affitto: alla scadenza del preavviso, dovrai fare le valige e andare via di casa. Tuttavia, per te è molto difficile trovare un altro appartamento nella stessa zona in così poco tempo e pertanto gli hai chiesto un po’ di settimane in più per poterti organizzare. A voce, il locatore ti ha rassicurato: per lui non ci sono problemi. «Puoi rimanere nell’appartamento fino a quando non troverai un’altra sistemazione», ti ha detto. Forte di ciò, non ti sei impegnato neanche più di tanto a trovare una sistemazione alternativa. Nel frattempo, però, sono passati molti mesi durante i quali tu puntualmente hai pagato l’affitto e il locatore altrettanto puntualmente ha ricevuto i tuoi soldi dandoti le quietanze. Trascorre quasi un anno in questa situazione di limbo durante la quale non avete più parlato di lasciare l’appartamento. Così inizi a conviventi del fatto che il padrone di casa ci abbia ripensato e che abbia intenzione di lasciarti dentro casa, rinnovando il contratto di locazione per altri quattro anni. È davvero così? Si può revocare la disdetta dell’affitto? Che succederebbe se, invece, dopo tutto questo tempo in cui il rapporto è proseguito “di fatto” tra le parti, il proprietario dell’immobile dovesse chiederti ugualmente di andartene, facendo riferimento alla diffida inviata diversi mesi prima. Sul punto si è pronunciata una recente ordinanza della Cassazione [1] con cui è stato chiarito se un comportamento tacito, ma concludente e inequivoco, possa considerarsi al pari della volontà espressa di rinnovare il contratto di affitto. Ecco cosa hanno detto i giudici supremi.

Indice

  • 1 La disdetta dell’affitto

  • 2 La firma dell’affitto

  • 3 Il rinnovo dell’affitto

La disdetta dell’affitto

Come noto, il contratto di affitto ha una data di scadenza che è fissata inderogabilmente dalla legge e che le parti non possono ridurre. Tuttavia, alla sua scadenza, l’affitto si rinnova per un periodo di tempo uguale alla prima scadenza (ad esempio altri 4 anni nel contratto 4+4, oppure altri 3 anni nel contratto 3+2). Ciascuna delle due parti (l’inquilino o il locatore) può impedire il rinnovo automatico dell’affitto dando disdetta prima della scadenza e comunque facendo pervenire tale disdetta entro il termine di preavviso indicato nel contratto (non meno di 6 mesi prima della scadenza). La disdetta non deve essere motivata e – aspetto molto importante – deve arrivare al destinatario prima della scadenza di tale termine (fa cioè fede non la data di spedizione ma quella di ricevimento della raccomandata: errore questo che più persone commettono).


Sia il padrone di casa che l’inquilino devono rispettare la data di scadenza del contratto di locazione e non possono recedere prima di questa. Salvo particolari casi in cui, alla prima scadenza, il proprietario dell’immobile può evitare il rinnovo automatico, entrambe le parti devono quindi attendere la data di scadenza per potersi sciogliere. Prima di questo momento solo l’inquilino può disdettare l’affitto ma unicamente nel caso in cui sussista una «giusta causa», ossia un evento imprevisto e involontario.

La firma dell’affitto

Sia l’avvio di un affitto che i successivi rinnovi non possono essere desunti da comportamenti taciti. In particolare, per attivare un contratto di affitto è necessario sempre un contratto scritto che va necessariamente registrato all’Agenzia delle entrate. Senza tale adempimento il contratto è inesistente. La registrazione va fatta entro 30 giorni a cura del padrone di casa (anche se, per l’evasione dell’imposta di registro, entrambe le parti sono responsabili in solido nei confronti del fisco e, quindi, possono ricevere l’accertamento fiscale e la successiva cartella di pagamento).

L’affitto può essere registrato anche dopo 30 giorni, pagando le sanzioni: si ha così una sanatoria con effetti retroattivi. Ma se ciò non avviene, tutti i patti fatti verbalmente o sulla scrittura privata non registrata non hanno valore. Il che significa che l’inquilino non è tenuto a pagare il canone e può andare via dall’immobile quando vuole.

Il rinnovo dell’affitto

Abbiamo detto che il rinnovo dell’affitto non richiede una nuova manifestazione di volontà o la firma di un ulteriore contratto. È sufficiente non inviare la disdetta. Tuttavia, se la disdetta dovesse essere spedita e ricevuta dall’inquilino il fatto che, a conti fatti, quest’ultimo continui a restare nell’immobile e a pagare il canone non configura una tacita revoca della disdetta dell’affitto da parte del locatore. È questo il senso della pronuncia della Cassazione qui in commento. In buona sostanza, se anche il padrone di casa tollera la presenza dell’inquilino oltre il termine di scadenza del contratto e non lo sfratta ma anzi ne percepisce il pagamento del canone questo non significa che ci abbia ripensato e che la disdetta dell’affitto non sia più valida.

Quindi, la rinnovazione tacita del contratto di locazione non può desumersi dal fatto della permanenza del conduttore nell’appartamento oltre la scadenza del termine, né dal pagamento e dall’accettazione dei canoni, e neppure dal ritardo con il quale sia stata promosso lo sfratto; occorre che questi fatti siano qualificati da altri elementi idonei a far ritenere in modo non equivoco la volontà delle parti di mantenere in vita la locazione [2].

note

[1] Cass. sent. n. 29313/17.

[2] Cass. sent n. 10644.2002: «La rinnovazione tacita del contratto di locazione non è desumibile dal solo fatto della permanenza del conduttore nell’immobile oltre la scadenza del termine, ma occorre che dall’univoco comportamento tenuto dalle parti dopo la scadenza del contratto possa desumersi la tacita volontà di entrambe di mantenere in vita il rapporto locativo” (nella specie, la S.C., in applicazione dell’enunciato principio, ha cassato la sentenza che aveva ritenuto tacitamente rinnovato il contratto per il solo fatto che il locatore aveva accettato i canoni versati dal conduttore successivamente alla scadenza del contratto, rilevando che era stato, invece, accertato che tale accettazione era avvenuta “come corrispettivo della ritardata restituzione dell’immobile” e, dunque, come adempimento dell’obbligazione posta a carico del conduttore ex art. 1591 cod. civ.)».

Cfr anche Cass. n. 8833.2007; Cass. n. 13346.2006; Cass. n. 5464.2006; Cass. n. 2211.1990 ed anche Cass. n. 8753.1994: «Poiché la rinnovazione tacita del contratto di locazione ai sensi dell’art.1597 cod. civ., postula la continuazione della detenzione della cosa da parte del conduttore e la mancanza di una manifestazione di volontà contraria da parte del locatore, qualora questi abbia manifestato con la disdetta la sua volontà di porre termine al rapporto, la suddetta rinnovazione non può desumersi dalla permanenza del locatario nell’immobile locato dopo la scadenza o dal fatto che il locatore abbia continuato a percepire il canone senza proporre tempestivamente azione di rilascio, occorrendo invece un suo comportamento positivo idoneo ad evidenziare una nuova volontà, contraria a quella precedentemente manifestata per la cessazione del rapporto»; per Cass. n. 269.1998: «Se il locatore ha comunicato al conduttore la disdetta (art. 1596 cod. civ.), anche se per un considerevole lasso di tempo – nella specie oltre quattro anni, in relazione ad un immobile adibito ad uso abitativo – non ha agito in giudizio per il rilascio, ed ha continuato a percepire i canoni di locazione, non perciò il contratto si è rinnovato (art.1597 ultimo comma cod civ.) mancando una volontà contraria a quella manifestata, si che la permanenza del conduttore costituisce occupazione di fatto».

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