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Violenza privata on line e prova tramite screenshot

L’attendibilità delle dichiarazioni rese dalla persona offesa può essere corroborata dall’acquisizione, a riscontro, di prova documentale costituita dagli screenshot delle conversazioni e dei file inviati tramite piattaforme informatiche di comunicazione consegnati alla Polizia Giudiziaria. È quanto si legge nella sentenza della Cassazione penale del 16 gennaio 2023, n. 1358. ORIENTAMENTI GIURISPRUDENZIALI

Difformi

Non si rinvengono precedenti in termini

La Corte d’Appello di Bari, in parziale riforma della sentenza di primo grado emessa dal Tribunale della stessa città, confermava la condanna del ricorrente per il reato di violenza privata in seguito alla condotta con cui aveva costretto la persona offesa a mostrarsi a seno nudo nel corso di una videochiamata intercorsa sulla piattaforma Facebook minacciandola di diffondere on line le registrazioni di altre videochiamate in cui la stessa si era volontariamente mostrata nelle medesime condizioni. Il primo motivo di ricorso in Cassazione si fondava sulla pretesa illogicità della motivazione anche per effetto dell’incompleta motivazione sui motivi di appello. Il presupposto fattuale della vicenda vedeva il ricorrente e la persona offesa coinvolti in una relazione sentimentale basata su una forte attrazione fisica che, pur essendo solo virtuale, era in qualche modo perdurata anche dopo la proposizione della querela da parte della persona offesa che non aveva privato dell’amicizia su Facebook il querelato e aveva cercato di contattarlo manifestando dispiacere in seguito all’affermazione del ricorrente di frequentare un’altra donna. Sulla base di queste condotte, parte ricorrente aveva ipotizzato che la querela fosse da intendersi in chiave ritorsiva da parte della donna che voleva punire il ricorrente per avere instaurato una relazione con un’altra donna e lamentava che la Corte avesse escluso questa ricostruzione dei fatti senza sufficientemente motivare in proposito. Altro punto cardine dei motivi di ricorso atteneva alla presunta mancanza di prova in merito alla consumazione della condotta materiale da parte del ricorrente: asseriva costui che non fosse stata fornita la prova della effettiva pubblicazione delle foto a seno nudo della querelante, poi rimosse, ma a dire della donna rimaste in rete comunque per un limitato periodo di tempo. In altri termini, le dichiarazioni della donna, a dire del ricorrente, erano rimaste prive di riscontro e ben altra, vista l’avvenuta costituzione di parte civile, avrebbe dovuto essere la valutazione della sua attendibilità da parte della Corte. Asseriva il ricorrente che la condotta della querelante dimostrava sostanzialmente una assenza di intimidazione nella stessa e che questa era confermata dalla condotta tenuta dal ricorrente che, di fronte alla reazione della donna, aveva rassicurato la stessa dicendole che non sarebbe successo nulla e che la pubblicazione era avvenuta in modalità visibili solo alla persona offesa, in modalità privata, sicchè al massimo poteva ritenersi integrato un tentativo di violenza privata ma non il reato consumato. La Corte di Cassazione respingeva il ricorso evidenziando che proprio la massima trasparenza e sincerità della donna in merito alle sue condotte nei confronti del ricorrente evidenziavano e suffragavano la sua attendibilità: la stessa non aveva negato l’attrazione che aveva provato e continuava a provare nei confronti del ricorrente e si era sottoposta con sincerità alle domande delle parti non negando anche parti meno edificanti della sua condotta. Punto cruciale, poi, era la radicale smentita dell’assunto di parte ricorrente secondo cui la versione della donna, inattendibile alla luce del suo comportamento ambiguo e contraddittorio, era rimasta senza riscontri. Asseriva la Corte che nessun dubbio poteva sussistere sulla prova fornita a riscontro delle affermazioni della querelante, in merito all’avvenuta pubblicazione delle foto a seno nudo ricavate dalle precedenti conversazioni fra i due, avendo la donna prodotto in giudizio gli screenshot delle foto dopo l’avvenuta pubblicazione e prima che le stesse venissero rimosse dal ricorrente. Riaffermava, dunque, la Corte il principio consolidato secondo cui “È legittima l'acquisizione come documento di una pagina di un "social network" mediante la realizzazione di una fotografia istantanea dello schermo ("screenshot") di un dispositivo elettronico sul quale la stessa è visibile” ripetutamente affermato in tutti i precedenti sul punto in quanto “In tema di mezzi di prova, i messaggi "whatsapp" e gli sms conservati nella memoria di un telefono cellulare hanno natura di documenti ai sensi dell'art. 234 c.p.p., sicché è legittima la loro acquisizione mediante mera riproduzione fotografica, non trovando applicazione né la disciplina delle intercettazioni, né quella relativa all'acquisizione di corrispondenza di cui all'art. 254 c.p.p. (In motivazione, la Corte ha precisato che nel caso di acquisizione di un messaggio conservato nella memoria del cellulare non si è in presenza della captazione di un flusso di comunicazioni in corso, bensì della mera documentazione "ex post" di detti flussi) (Cass. pen. sez. VI, sent. n. 1822/2019). Detta circostanza, ritenuta dunque ampiamente e documentalmente dimostrata sta, nella opinione della Corte, a conferma tanto dell’avvenuta consumazione della condotta di violenza privata, escludendosi così la fondatezza dell’affermazione di parte ricorrente secondo cui al massimo poteva ritenersi integrato il mero tentativo della condotta delittuosa, quanto dell’avvenuto e approfondito riscontro pienamente documentale all’attendibilità delle dichiarazioni della querelante che, nonostante il comportamento tenuto successivamente per cui, vista la perdurante attrazione per il ricorrente, veniva spinta a cercarlo e a rammaricarsi per la sua nuova relazione con un’altra donna, si era sentita costretta a cedere al ricatto dello stesso, acconsentendo ad altre videochiamate a seno nudo vista la minaccia di costui di ledere il suo decoro e la sua reputazione mediante la pubblicazione, avvenuta sia pur per breve tempo, di precedenti immagini che la ritraevano in queste condizioni. La produzione degli screenshot di quelle immagini, aventi natura documentale pienamente riconosciuta e consegnati alla Polizia Giudiziaria, aveva riscontrato l’attendibilità del racconto della donna e contribuito a dimostrare l’avvenuta consumazione della condotta delittuosa contestata ai sensi dell’art. 610 c.p. in capo al ricorrente. Riferimenti normativi: Art. 610 c.p. Cassazione penale, Sez. V, sentenza 16 gennaio 2023, n. 1358

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